Ergastolo ostativo e permessi premio: c’è attesa per la decisione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale deciderà oggi sulla costituzionalità o meno dell’ergastolo ostativo, pena che non consente la concessione dei benefici penitenziari previsti per tutti i detenuti, salvo che i condannati non decidano di collaborare con la Giustizia. Il giudice costituzionale Nicolò Zanon – relatore del caso – ha ricordato che questa forma di ergastolo duro è stata decisa sopratutto per mafiosi e terroristi e venne introdotta come reazione alla strage di Capaci. Secondo la Corte di Strasburgo – che si è espressa sulla vicenda lo scorso 9 ottobre la pena si configura come un “trattamento inumano e degradante” e per tanto ha imposto alla giurisprudenza italiana di modificare la norma.

Il giudice ricostruisce la vicenda: «La corte è chiamata a valutare sui benefici carcerari per chi rifiuta di collaborare con la giustizia»

«Il detenuto che sconta in carcere una condanna all’ergastolo per reati di mafia e che non collabora con la giustizia, può ugualmente avvalersi dei benefici di pena come i permessi premio? Oppure l’ergastolo ostativo ne impedisce il ricorso?» Così il il giudice relatore ha riassunto i termini della disputa precisando, al contempo che «il tema presenta soltanto una coincidenza temporale, come talora può accadere, con la decisione espressa dalla Corte Ue contro l’ergastolo ostativo ma in questo caso – prosegue Zanon –  non si tratta di abolire la normativa penale, posta ‘sotto giudizio’ dall’Unione Europea, che lo prevede; ma soltanto di valutare l’applicazione o meno dei benefici carcerari a favore di chi rifiuta di collaborare con la giustizia».

«La richiesta di usufruire del permesso premio viene rigettata con la motivazione che così facendo si negherebbe la condizione di pericolosità sociale, per i legami intrattenuti con la sua associazione mafiosa, dall’ergastolano che non collabora con la giustizia. Chi si oppone alla normativa obietta invece – ha continuato Zanon – che la mancata collaborazione non presuppone di per sé il mantenimento del legame con il clan, in quanto potrebbe derivare da altri fattori, come la paura per la sua incolumità o per quella dei suoi familiari oppure la volontà di non accusare membri della propria famiglia».

Per l’avvocatura dello Stato la norma sui permessi premio ha funzionato contro la lotta alla mafia

Durante l’udienza davanti alla Consulta l’avvocato dello Stato Marco Corsini ha fornito anche il dato inedito sulle cifre in questione: in Italia sono oltre 6mila le persone sotto protezione: mille collaboratori di giustizia e 5mila loro familiari. Cifre, quelle fornite da Corsini, che non collimano con i numeri in possesso della Corte che ha pertanto chiesto al legale di fornire la documentazione in suo possesso per acquisirla. L’avvocatura dello Stato ha quindi perorato l’attuale norma sui permessi premio sostenendo che si tratta di una legge «che ha sempre funzionato contro la lotta alla mafia e al terrorismo e che costituisce al contempo un incentivo alla collaborazione». Se la norma che impedisce la concessione dei permessi premio venisse cancellata «l’incentivo a collaborare verrebbe diminuito», hanno sostenuto i due legali, invitando a «non dimenticare le vittime» di reati tanto gravi come quelli legati all’associazionismo mafioso e al terrorismo.

Non ci saranno automatismi né permessi premio senza limiti, hanno precisato gli avvocati della difesa

Anche i legali delle parti nel loro intervento hanno citato alcuni numeri. L’avvocato Mina Raschi – difensore dei due ‘ergastolani ostativi’ dai cui ricorsi in Cassazione e al tribunale di sorveglianza di Perugia sono scaturite le questioni di legittimità oggi all’esame dei giudici costituzionali – ha ricordato che attualmente «più di 300 degli ergastolani ostativi che collaborano con la giustizia sono ancora detenuti, a riprova che non ci sono automatismi per coloro che decidono di collaborare».

«È la magistratura di sorveglianza che può comprendere quale sia stato il percorso rieducativo del detenuto – ha ribadito l’avvocato Valerio Vianello Accoretti, difensore dell’ergastolano Sebastiano Cannizzaro – e alla magistratura di sorveglianza quindi va restituita la possibilità di decidere caso per caso. Non vi sarebbero automatismi né un rischio di un accesso incontrollato ai permessi premio». Sulla stessa linea i difensori dell’ergastolano Pietro Pavone, i cui atti sono stati trasmessi alla Consulta dal tribunale di sorveglianza di Perugia: «Non vi è nessun rischio di automatismo – hanno affermato gli avvocati Mirna Raschi e Michele Passione – né rischi sul 41 bis di cui qualcuno ha parlato in questi giorni. Basti pensare che più di 300 ergastolani ostativi – anche se collaborano con la giustizia – sono ancora detenuti e lo dimostra anche il recente caso di Brusca. Questa Corte ha visitato le carceri e conosce la realtà: l’ipotesi di accrescere le garanzie in un gioco di specchi con la Corte di Strasburgo non è una cessione di sovranità».

Share this article