Corte di Strasburgo: «L’Italia deve cambiare l’ergastolo ostativo»

La sentenza della Corte europea di Strasburgo è stata pubblicata in questo primo pomeriggio e ha il verdetto che in molti si aspettavano. L’Italia deve modificare le sue leggi sull’ergastolo, in modo particolare sulla misura del carcere a vita ostativo. L’ergastolo ostativo, al momento, impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia. Si tratta di una misura che, molto spesso, è utilizzata come deterrente contro i mafiosi detenuti al carcere duro in regime di 41-bis.

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Ergastolo ostativo, la sentenza della Corte di Strasburgo

Ora, però, l’Italia deve stravolgere quello che considerava uno dei suoi capisaldi per la lotta alla mafia. La sentenza della Corte europea di Strasburgo ha necessariamente preso in considerazione l’insieme dei diritti dei detenuti e ha valutato che, indipendentemente dalla natura del reato per il quale un uomo è finito in carcere ed è stato condannato all’ergastolo, quest’ultimo abbia diritto a ottenere dei benefici per la sua pena, indipendentemente dalla sua collaborazione con le indagini.

Una prima sentenza di condanna era stata pronunciata dall’assise già lo scorso 13 giugno, ma l’Italia aveva chiesto una revisione della stessa, presentando un ricorso. Ricorso che, con questa nuova decisione presa l’8 ottobre, è stato respinto, rendendo definitiva la decisione della Corte europea di Strasburgo e rendendo necessaria una modifica dell’ordinamento.

Ergastolo ostativo, le motivazioni della sentenza

Alla base del ricorso dell’Italia contro la prima decisione della CEDU c’era proprio il fatto che l’ergastolo non preclude la possibilità del detenuto di redimersi e di scegliere di pentirsi, accedendo ai benefici che, invece, non sono previste dall’ergastolo ostativo. La decisione di restare affiliato alla fedeltà a una famiglia mafiosa sarebbe in capo allo stesso detenuto. In ogni caso, questo aspetto non è stato preso in esame dalla Corte Europea che ha sostenuto la contrarietà a quella parte della Convenzione che vieta la tortura, le punizioni disumane e degradanti e nega la possibilità di un percorso rieducativo.

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