Emoji a lavoro: un sondaggio dice sì al loro utilizzo

Secondo un sondaggio di Adobe, tra gli utenti della generazione Z, più della metà ha detto che sarebbe più soddisfatta se a lavoro i loro capi usassero più emoji nelle loro comunicazioni

16/07/2021 di Giorgia Giangrande

Le emoji sono una parte preponderante della nostra vita digitale, le usiamo per esprimere emozioni e pensieri a cui non vogliamo dare molte parole, ma limitiamo il loro utilizzo a contesti informali, perché riconosciamo in loro dei limiti. Un sondaggio di Adobe, però, rilancia l’utilizzo delle emoji a lavoro, poiché la maggioranza della Generazione Z dichiara che sarebbe più soddisfatta se i capi le utilizzassero nelle loro comunicazioni.

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La giornata mondiale delle emoji

Il sondaggio di Adobe, società di software, sbuca fuori in prossimità di una data importante per il mondo delle emoji. Infatti, il 17 luglio si celebra infatti la giornata interazione delle emoji, il World Emoji Day, che nasce da un’idea di Jeremy Burge, fondatore del sito web Emojipedia, proprio con lo scopo di celebrare i pittogrammi che con un disegno o un simbolo vanno a sostituire le parole per la loro immediata riconoscibilità.

Secondo quanto riporta Ansa, nel 2022 le emoticon esistenti potrebbero arrivare a 3500 e ogni giorno se ne aggiungono di nuove. La più recente in ordine di arrivo è quella della mano racchiusa nel gesto prossemico – tipicamente italiano – del «ma che vuoi?». Al 2015 – sì, sono passati già sei anni – risale invece la scelta inclusiva dei colori della carnagione nelle emoji che riguardano parti del corpo, professioni, volti.

Sì alle emoji a lavoro

In un altro articolo, Npr  dichiara che la capacità delle emoji di comunicare rapidamente le idee e quella di far sentire le persone più connesse e ricettive ai nuovi compiti, possono ben conciliarsi in un ambiente lavorativo. L’utilizzo delle emoji a lavoro «può rendere le decisioni di gruppo più efficienti e può anche ridurre la necessità di riunioni e chiamate».

In tanti avranno esitato almeno una volta nella vita ad inserire una emoji all’interno di una mail scritta ad un docente universitario, al proprio capo o ad un collega posto gerarchicamente più in alto. Poi, però, riconoscere il contesto burocratico o formale ha frenato l’istinto di utilizzare quella emoji all’interno della mail o della chat. A dispetto di ciò, lo studio di Adobe attesta che tra i 7000 utenti intervistati negli Stati Uniti, in Europa e in Asia, la maggioranza si sentirebbe più a proprio agio se i capi le usassero per le loro comunicazioni, poiché l’uso romperebbe il filtro della formalità che di norma sussiste tra chi sta a capo di un gruppo e chi invece lo compone.

E chi la pensa diversamente

Naturalmente, come in tutto, c’è chi la pensa in modo diverso. Come l’editorialista britannica Suzanne Moore che nel 2019 ha scritto un pezzo per il Guardian intitolato «Perché odio le emoji», definendole vili e infantili e bannando la loro utilità nella comunicazione fra adulti. Dal suo canto, Suzanne Moore ritiene che per capire il pensiero di una persona ha bisogno di leggere le sue parole, senza doverle intuire nella loro capacità di mandare «un animale disegnato male».

Un pensiero talmente diretto che sembra quasi aggredire chi invece le predilige nell’uso quotidiano e all’interno delle app di messaggistica, prima fra tutte Whatsapp. Più della metà degli utenti coinvolti nel sondaggio di Adobe le usano per esprimere le loro emozioni, più difficili da tirar fuori nei messaggi scritti o in una conversazione face-to-face. Paul D.Hunt, sviluppatore di font ed emoji di Adobe, nella comunicazione digitale, le emoji possono trasmettere il tono e la reazione emotiva addirittura meglio delle sole parole.

Un emoji anziché mille parole, un emoji come espediente per i più timidi, un emoji anche nei contesti lavorativi e formali. Oppure un emoji come indice di pigrizia da parte di chi non ha voglia di perder tempo ad elaborare i propri pensieri. E voi da che parte state? Impossibile non schierarsi.

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