C’è chi dice no al DSA: le “ribelli” tra le 17 aziende VLOP

Inserite nell'elenco della Commissione Europea per via del numero di utenti mensili attivi, Amazon e Zalando hanno presentato un ricorso ufficiale

29/08/2023 di Enzo Boldi

Diciassette (17) brand riconoscibili in tutto il mondo e che sono molto noti anche in Europa. Due (2) motori di ricerca che, da anni, sono tra i più utilizzati dagli utenti che vivono nel Vecchio Continente. La somma fa 19 e si tratta dell’elenco delle aziende cosiddette VLOP (Very Large Online Platform) e VLOSE (Very Large Online Search Engine) che dovranno rispettare i paletti più stringenti previsti dal Regolamento Europeo sui servizi digitali: il Digital Service Act.

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Dallo scorso 25 agosto, data di entrata in vigore effettiva dei controlli ai sensi del DSA, queste 19 grandi aziende digitali sono oggetto del controllo da parte del team della Commissione Europea, affinché sia confermato il rispetto degli obblighi imposti dal regolamento. Se la sezione dedicata ai motori di ricerca (VLOSE) riguarda – per il momento – solamente Google e Bing, la grande attenzione si è concentrata sulle cosiddette VLOP, ovvero quelle piattaforme che hanno un raggio d’azione di almeno 45 milioni di utenti attivi al mese in Europa.

Elenco aziende VLOP, i 17 nomi

L’elenco aziende VLOP sarà aggiornato ogni sei mesi e si basa sui report delle singole piattaforme (seguendo un principio di trasparenza che, in realtà, non può essere celato). Dunque, due volte all’anno questa lista potrà vedere nuovi ingressi o alcune uscite (in base alle eventuali variazioni nel numero di utenti attivi nel Vecchio Continente). Al momento dell’entrata in vigore dei sistemi di verifica ai sensi del DSA, le 17 VLOP sono:

  • Alibaba AliExpress (Cina)
  • Amazon Store (USA)
  • Apple AppStore (USA)
  • Booking.com (USA)
  • Facebook (USA)
  • Google Play (USA)
  • Google Maps (USA)
  • Google Shopping (USA)
  • Instagram (USA)
  • LinkedIn (USA)
  • Pinterest (USA)
  • Snapchat (USA)
  • TikTok (Cina)
  • Twitter (USA)
  • Wikipedia (USA)
  • YouTube (USA)
  • Zalando (Germania)

Due aziende cinesi, 14 aziende americane e solamente una che ha sede in Europa (in Germania). Questo è il quadro del primo step del Digital Service Act. Ma la strada è ancora irta di ostacoli, visto che due di questi brand digitali hanno presentato ricorso.

C’è chi dice no

La prima a protestare per essere stata inserita all’interno dell’elenco aziende VLOP è stata proprio la tedesca Zalando, che lo scorso 27 giugno ha annunciato la presentazione di un ricorso legale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei confronti della Commissione Europea:

«Zalando sostiene che la Commissione europea non ha tenuto conto della natura prevalentemente commerciale del suo modello di business e che questo non presenta un “rischio sistemico” di diffusione di contenuti dannosi o illegali da parte di terzi. Al contrario, Zalando offre ai propri clienti un ambiente online sicuro con prodotti altamente curati di marchi leader e partner affermati che vengono accuratamente controllati. L’azienda contesta inoltre la disparità di trattamento derivante dall’assenza di una metodologia chiara e coerente per valutare se un’azienda sia una “Very Large Online Platform”».

Nello specifico, non si contesta solamente l’inserimento in questo elenco di piattaforme a “rischio sistemico” per la natura del core business, ma si mette in evidenza anche un altro aspetto sottolineato da Robert Gentz, co-fondatore di Zalando:

«La Commissione europea ha interpretato erroneamente i numeri dei nostri utenti e non ha riconosciuto il nostro modello di business, basato soprattutto sul retail. Il numero di visitatori europei che acquistano dai nostri partner è di gran lunga inferiore rispetto alla soglia fissata dal Dsa per essere considerati una Vlop. Inoltre, offriamo ai nostri clienti un ambiente online sicuro con prodotti altamente curati di marchi leader e partner affermati. Sul nostro sito web o sulla nostra app, i clienti vedono solo contenuti prodotti o controllati da Zalando. Non rientriamo così nella categoria VLOP come definita dal Dsa». 

Una bolla scoppiata con il ricorso presentato oltre due mesi fa e che ora è nelle mani dei giudici della Corte di Giustizia Europea. E sulla stessa falsariga di Zalando è la posizione di Amazon. Come riportato dal Financial Times, infatti, anche il colosso dell’e-commerce ha contestato l’inserimento all’interno dell’elenco aziende VLOP da parte della Commissione Europea:

«La stragrande maggioranza dei nostri ricavi proviene dalla nostra attività di vendita al dettaglio, non siamo il più grande rivenditore al dettaglio in nessuno dei paesi dell’Ue in cui operiamo e nessuno di questi più grandi rivenditori presenti in ogni paese europeo è stato designato come Vlop. Se la designazione Vlop dovesse essere applicata ad Amazon e non ad altri grandi rivenditori dell’Ue, Amazon verrebbe ingiustamente colpita dalla normativa e costretta a soddisfare obblighi amministrativi onerosi che non avvantaggiano i consumatori dell’Ue». 

Una bella matassa da dirimere, prima su Zalando e poi su Amazon.

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