Come stanno andando i primi giorni del Digital Service Act

Il 25 agosto è scaduto il termine ultimo "concesso" a 19 Big Tech per adeguarsi ai paletti del regolamento europeo

29/08/2023 di Enzo Boldi

È passato quasi un anno e mezzo da quando, dopo una lunga maratona di 16 ore, l’Europa trovò l’accordo per l’approvazione del Digital Service Act. Ora, a partire dallo scorso 25 agosto, i primi effetti concreti del regolamento UE sui servizi digitali sono diventati tangibili, con le principali piattaforme (compresi i maggiori motori di ricerca) che hanno completato la corsa all’adeguamento ai paletti imposti dalla Commissione Europea per poter operare nel Vecchio Continente (e senza incorrere in sanzioni). Nonostante le perplessità di molte aziende coinvolte – in questa prima tranche sono coinvolte 17 VLOP e 2 VLOSE, ovvero quei portali che contano oltre 45 milioni di utenti attivi (al mese) sul suolo europeo -, è stato dato il via alle danze.

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Il DSA è il punto di partenza del tentativo di regolamentazione europea delle cosiddette aziende Big Tech (nel senso più esteso del termine). Nel giro dei prossimi mesi, infatti, il Digital Service Act sarà affiancato da altri due provvedimenti che hanno come obiettivo quello di imporre dei paletti molto più stringenti al mercato digitale. In attesa di conoscere i reali e tangibili effetti del Digital Market Act (DMA) e dell’Artificial Intelligence Act (AI Act), proviamo a capire come sono andati i primi giorni di questo regolamento sui servizi digitali.

Digital Service Act, come sono andati i primi giorni

Prima di raccontarlo, però, occorre specificare un aspetto: trattandosi di un Regolamento europeo, non c’è stato alcun bisogno di attendere che ogni singolo Stato membro recepisse con una legge propria questa legge. Dunque, tutte le aziende digitali che operano sul territorio UE dovranno rispettare quei paletti, in ogni singolo Paese. Dunque, dallo scorso 25 agosto quanto scritto nero su bianco e approvato da Commissione e Parlamento europeo ha iniziato a mostrare i primi effetti, con le 19 aziende coinvolte (ogni sei mesi l’elenco sarà aggiornato inserendo o rimuovendo quelle piattaforme che supereranno il “limite” dei 45 milioni di utenti attivi ogni mese in Europa) che nel corso dei mesi precedenti hanno modificato i propri piani di azione per evitare violazione degli obblighi imposti.

Nel suo monografico di oggi, Giornalettismo racconterà i “movimenti” delle 17 VLOP (Very Large Online Platform) e le 2 VLOSE (Very Large Online Search Engine) hanno reagito inseguendo gli obiettivi imposti dall’Europa. L’elemento visibile agli occhi di tutti, per fare un esempio, arriva dalle principali piattaforme social: nel corso degli ultimi mesi, infatti, Facebook e Instagram hanno ripristinato (a discrezione dell’utente iscritto) la possibilità di navigare all’interno dei rispettivi portali sia con il feed “alimentato” dall’algoritmo, sia con il feed in ordine cronologico. E anche X (un tempo Twitter), nonostante le polemiche di Elon Musk, ha inserito alcuni dettagli per essere in linea con il Digital Service Act.

Quali sono gli obblighi principali imposti dal DSA

Thierry Breton, Commissario UE al Mercato Interno, ha spiegato come questa fase dovrà essere considerata un vero e proprio stress test in vista dell’inizio del 2024 quando il DSA sarà pienamente applicabile su larga scala. Ma quali sono i principali obblighi previsti per le grandi aziende (VLOP e VLOSE che dovranno rispettare i paletti più stretti del Regolamento) per non rischiare di incappare in multe fino a 6 miliardi di euro o pari al 10% del fatturato globale annuo della società? Innanzitutto, ci sono dei vincoli inderogabili che rispondono a quattro macro-categorie:

  • Trasparenza, fornendo agli utenti informazioni chiari, concise e precise sul prodotto e i servizi, con annessa specifica della politiche di moderazione dei contenuti che si possono pubblicare sulle piattaforme.
  • Responsabilità, adottando misure ragionevoli di rimozione di contenuti illegali e pericolosi (anche in violazione di altri Regolamenti già vigenti, come il GDPR) dal proprio portale.
  • Protezione dei minori, adottando misure atte a difendere i più piccoli dalla visione e dall’interazione con contenuti pericolosi e dannosi per la propria età.
  • Rispetto dei diritti fondamentali, difendendo la libertà di espressione (a meno che non sia lesiva nei confronti della libertà altrui), la protezione dei dati personali e ogni linguaggio di odio e discriminazione.

Quattro paletti fondamentali che, già in passato, erano stati oggetto di critiche a approfondimenti “singoli” da parte delle autorità. Ora, con il Digital Service Act, viene data alla singola piattaforma una responsabilità di controllo sul come si gestiscono i singoli portali e sul come si interviene per evitare la diffusione di contenuti di disinformazione o violenti. E queste indicazioni riguardano tutte e 4 le macro-categorie inserite nell’elenco dei VLOP e dei VLOSE. Facciamo alcuni esempi:

  • Le piattaforme social devono obbligatoriamente procedere con la rimozione di contenuti violenti, discriminatori e di incitamento all’odio (di ogni genere).
  • I marketplace devono provvedere all’identificazione certificata dei venditori e controllare che i prodotti in vendita sulle piattaforme siano conformi alla legge.
  • I motori di ricerca devono garantire l’accesso (attraverso l’indicizzazione) a informazioni affidabili e pertinenti.
  • I servizi di hosting hanno l’obbligo di rimuovere (in un lasso di tempo ragionevole) i contenuti illegali dalla rete.

Paletti che hanno sollevato alcune polemiche, come nel caso di Amazon e Zalando (inserite all’interno dell’elenco delle 17 VLOP) che hanno presentato il ricorso. Ma il tentativo dichiarato è quello di uniformare il mercato dei servizi digitali che – come la storia recente insegna – è quasi interamente (quando parliamo di piattaforme con il maggior numero di utenti attivi) gestito da attori esterni all’Europa.

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