La storia del dipendente di Facebook torturato in Iran e mai rientrato in azienda
La storia di Behdad Esfahbod evidenzia le mancanze di Facebook quando si parla di politiche di reintegro per i suoi dipendenti
22/11/2021 di Ilaria Roncone
Si chiama Behdad Esfahbod ed è un ingegnere molto apprezzato e stimato, tra le altre cose, per aver creato HarfBuzz e per aver guidato Google nel rendering. Dal 2019 lavora per Facebook nel team di internazionalizzaione. A gennaio del 2020 è andato a Teheran, in visita alla sua famiglia. Il dipendente Facebook torturato ha cominciato proprio allora il suo calvario, venendo prelevato dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche – ramo dell’esercito iraniano – e accusato di aver cooperato con entità ostili agendo contro lo stato islamico.
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Dipendente Facebook torturato racconta del timore dei torturatori nei confronti della piattaforma
Alla fine di tutto, dopo aver reso nota la storia – che è stata raccontata anche all’interno dell’azienda – Esfahbod ha deciso di lasciare il suo lavoro da un milione di dollari l’anno per la piattaforma. Raccontando la questione a Slate, l’ex dipendente ha riferito che non era solo Facebook a temere l’Iran ma anche le autorità iraniane sembravano trattare la piattaforma con i guanti bianchi.
La ragione per cui Esfahbod è stato prelevato e torturato va cercata, secondo lui, nei suoi rapporti di amicizia con gli attivisti che hanno sviluppato una serie di strumenti per aggirare la censura di Internet in Iran. Nella settimana di reclusione si sono alternati isolamento, torture psicologiche e interrogatori si sei ore al giorno in cui le autorità iraniane hanno provato a convincerlo a diventare un informatore rispetto alle attività dei suoi amici attivisti. La sua privacy e i suoi account sono stati violati, scaricando anche una serie di dati privati.
Tutto quello che riguardava la vita dell’ex dipendente è stato scandagliato. Tutto eccetto il suo ruolo in Facebook. Pur sapendo che lavorava lì, le guardie non hanno chiesto nulla e si sono mostrate diffidenti per qualunque cosa riguardasse l’azienda. Il laptop aziendale, a differenza degli altri device, non è stato toccato.
I problemi con Facebook dopo detenzione e tortura
Dopo l’esperienza l’ingegnere ha fatto fatica a tornare a una vita normale, andando a vivere a Lisbona. Il rientro a lavoro non è stato facile e, secondo quanto riferisce, l’azienda Facebook non ha sicuramente aiutato. Due giorni dopo l’arresto, Facebook aveva disattivato tutti gli account di Esfahbod nel tentativo di proteggersi da infiltrazioni.
Dopo il rilascio l’ex Facebook non è riuscito a tornare immediatamente operativo e, in un primo momento, l’azienda gli ha detto di non preoccuparsi. Passat un paio di mesi, le risorse umane lo hanno informato che avrebbe dovuto andare in congedo non retribuito, avendo ormai finito tutti i giorni di ferie.
Ottenuto il congedo medico, le risorse umane gli hanno ripetutamente chiesto quando sarebbe rientrato. Per riattivare il suo account Facebook, inoltre, avrebbe dovuto recarsi personalmente a Seattle – cosa che non si è sentito di fare in un momento di maggiore controllo per gli iraniani americani in seguito all’uccisione di Soleimani -.
Secondo l’analista HR Tim Sackett, nonostante risulti inappropriato in un caso come questo, il trattamento delle risorse umane di Facebook non è strano visto che si occupano delle pratiche di congedo di 60 mila dipendenti. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: non sarebbe meglio, per Facebook, escogitare politiche per casi eccezionali come questo vista soprattutto la sua presenza globale e la grande forza lavoro internazionale della quale si dota?
Esfahbod ha anche segnalato che Facebook non gli ha mai chiesto della detenzione né se gli fossero state fatte domande in merito all’azienda. Dopo il rapimento non ha avuto contatti nemmeno con il team di sicurezza dell’attuale Meta. Proprio Meta, dal canto suo, ha dichiarato tramite un portavoce: «
Meta prende appropriate misure di cautela relative a certi paesi ad alto rischio. Tuttavia, i dettagli specifici su queste misure rimangono confidenziali e sono di proprietà per mantenere la sicurezza dei nostri clienti, delle persone e dei prodotti. Data la natura confidenziale delle questioni dei dipendenti, non siamo in grado di fornire dettagli specifici sulle comunicazioni che l’azienda ha avuto con Esfahbod».
In una nota che è stata trovata tra i Facebook Papers in cui si parla dell’ex dipendente – senza però nominarlo – Facebook risponde alle perplessità dei suoi dipendenti sulla loro sicurezza. In sostanza, afferma che in determinati contesti bisogna avere cura della propria sicurezza essendo proattivi e lasciando le attrezzatura aziendali in luoghi sicuri.