La storia (falsa) del credito sociale per accedere a internet in Australia

Nella storia che gira sui social del credito social per accedere a internet in Australia manca il contesto. E, in questo caso, il contesto è tutto

21/12/2022 di Ilaria Roncone

«AUSTRALIA – Introdotto credito sociale per accedere a internet, tramite il proprio ID digitale. I cittadini hanno bisogno di 100 punti di identificazione per utilizzare i social media e la polizia avrà accesso ai tuoi account, compresa la messaggistica privata. COME ORMAI CONSUETUDINE, PRIMA TI RENDONO POVERO, POI TI DANNO QUELLO CHE FINO A IERI ERA DI UN COSTO IRRISORIO, A CONDIZIONI DA SCHIAVO»: questo il copy di un post pubblicato il 13 dicembre scorso. Insieme alla didascalia compare un video di 58 secondi totali che mostra lo spezzone di un tg australiano in cui la conduttrice parla di «un piano radicale per affrontare gli abusi sui social media» a cui il «governo federale» starebbe pensando.

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Credito sociale per internet in Australia, cosa viene detto nel filmato?

Nel video la telecronista si collega con un inviato della trasmissione che parla di questo piano governativo per cui il governo dovrebbe permettere l’accesso ai social media solo una volta raggiunti i 100 «punti di identificazione» accumulabili presentando o il proprio passaporto o la propria patente di guida. Questa norma – spiega il giornalista in collegamento – agirebbe rendendo gli utenti di internet perseguibili nelle cause per diffamazione e nelle cause penali, andando ad eliminare l’anonimato sul web per ogni cittadino australiano.

Quando il contesto (mancato) è tutto

Un video che mostra un telegiornale australiano difficilmente può essere messo in dubbio da chi lo vede e, se abbinato alla didascalia che abbiamo citato sopra, saranno molte le persone che ci cascheranno. Un mondo, quello a cui questo contenuto social allude, che sembra stare meglio in un romanzo distopico che fuori da un libro. Andando a contestualizzare questo spezzone di 58 secondi – ovvero visionando l’intero servizio – diventa tutto più chiaro, a partire dal fatto che in questo caso – come in tanti altri – il contesto volutamente omesso è tutto.

L’articolo di Facta che chiarisce la situazione è stato inserito a corredo del post in questione poiché la testata rientra tra i fact checkers di Facebook, andando a contestualizzare la situazione e categorizzando la presunta notizia data come falsa. Di cosa si tratta in realtà?

Di un video andato in onda sul canale 9 News Australia in data 1° aprile 2021, quando si parlava dell’idea di un «piano per reprimere gli abusi sui social media» nell’ambito del quale gli utenti avrebbero presto potuto «inviare 100 punti di identificazione quando utilizzano account di social media». Si trattava di raccomandazioni fornite dal comitato permanente per le politiche sociali e gli affari interni della Camera dei deputati del paese collocate all’interno di un’«Inchiesta sulla violenza familiare, domestica e sessuale».

Uno dei punti di questi provvedimenti sarebbe stato – e si parla al condizionale passato perché le raccomandazioni non si sono mai tramutare in legge – quello di obbligare gli utenti a identificarsi sui social media «utilizzando 100 punti di identificazione, come accade per gli account di telefonia mobile o acquistare una SIM per cellulare». Come è finita? A settembre 2021 i due rami del parlamento australiano hanno approvato un disegno di legge atto a contrastare i crimini digitali che ha dato maggiori potere alle forze dell’ordine creando nuove forme di mandati per raccogliere informazioni online e questo è; non esiste nessuna normativa che imponga alle piattaforme un qualsivoglia metodo per  identificare i profili anonimi.

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