L’unica “eccellenza” italiana è il 5G (ma anche su questo ci sarebbe molto da dire)

Il dato positivo è viziato dalla possibilità degli operatori di sfruttare lo spettro delle frequenze utilizzate per il 4G nel calcolo totale della copertura del 5G. Per non parlare della distribuzione dei fondi a disposizione su questo tema

28/09/2023 di Gianmichele Laino

Quand’è che l’Italia è diventata una sorta di “guida europea” sul 5G? Il quadro fotografato dalla Digital Decade, il rapporto che la commissione europea ha pubblicato relativamente alla digitalizzazione nell’ultimo decennio (con l’orizzonte verso il 2030) degli stati membri sembra parlare molto chiaro. Il nostro Paese ha conquistato la vetta rispetto alla copertura del territorio nazionale con la rete 5G: il 99,7% del territorio sarebbe toccato dalla rete di telefonia mobile di ultima generazione, con il 93% dello spettro armonizzato assegnato. Se consideriamo che la media europea è pari al 65,8%, comprendiamo la portata significativa di questo dato. Tuttavia, ci sono delle considerazioni che – con Giornalettismo – abbiamo sempre messo in evidenza.

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Copertura 5G in Italia, voti massimi. Con il trucchetto

Ricordiamo, ad esempio, il sistema del cosiddetto Dynamic Spectrum Sharing. Si tratta, in poche parole, di utilizzare anche le frequenze normalmente utilizzate per il 4G – ma compatibili anche con la rete 5G – per far crescere il conteggio della copertura. Questo elemento è stato del tutto evidente a partire dal 2021, quando la percentuale di copertura territoriale del 5G è aumentata in maniera esponenziale rispetto al periodo precedente.

Al momento, dunque, la principale tecnologia 5G in Italia è la non-standalone, mentre quella “pura” – diciamo così – tocca percentuali decisamente più basse. Questo significa che, evidentemente, in un’ottica di ulteriore evoluzione della tecnologia, l’infrastruttura italiana sarebbe ferma a due generazioni precedenti (e non a quella immediatamente precedente). E questo significa anche che il recente Piano 5G Italia – pur potendo far leva su queste premesse su cui è arrivata anche la certificazione e il bollino della commissione europea (grazie ai buoni risultati evidenziati dal Digital Decade) – può continuare a restare nel vago anche dal punto di vista della distribuzione delle frequenze, con lo stallo (questa volta tutto politico) legato al potenziamento di queste ultime, una misura non gradita né agli ambientalisti, né a quella fetta di popolazione che crede nella pericolosità di questa particolare tecnologia.

L’approccio abbastanza comodo all’Italia rispetto al 5G, dato dalla forza di queste statistiche, ha permesso anche una gestione particolare di una parte dei fondi destinati a queste tecnologie. Questa distribuzione non favorisce in maniera particolare la costruzione di nuove infrastrutture e non va solo a beneficio degli operatori di rete, ma anche a beneficio di quei contenuti che solo attraverso il 5G possono essere fruiti, affinché possano essere da stimolo per un maggiore impiego della tecnologia. Vale appena la pena sottolineare che, se le infrastrutture non sono abbastanza potenti per assicurare una copertura capillare sul territorio, gli stimoli possono anche esserci. Il problema sarà – semplicemente – connettersi.

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