Le nuove piattaforme che firmeranno il patto anti disinformazione dell’UE

Clubhouse, Vimeo e DoubleVerify sono pronte a sottoscrivere l'impegno (che non è vincolante in termini di legge)

02/10/2021 di Redazione

La Commissione Europea, sin dal 2018, ha previsto un codice di condotta comune contro la disinformazione sulle varie piattaforme. Da quel momento in poi, i principali attori del mercato delle piattaforme digitali, almeno nominalmente, hanno aderito a questo codice di condotta, ufficialmente denominato European Union’s Code of Practice on Online Disinformation. Ora, con la previsione di un aggiornamento di questo codice contro la disinformazione, anche altri attori puntano a far parte della cerchia di aziende che sottoscriveranno questo piano. Sicuramente, stiamo parlando d Clubhouse, Vimeo e DoubleVerify che – nell’ultimo periodo – hanno avuto sempre maggiore rilevanza nel mercato mondiale.

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Codice contro la disinformazione, entrano altre piattaforme

Possibile che, nei mesi successivi, ci saranno anche altri attori che sottoscriveranno questo aggiornamento: Avaaz, Globsec, Logically, NewsGuard e WhoTargetsMe sono pronti a fare la loro parte. Ma in cosa consisterà questo allargamento degli operatori impegnati a sottoscrivere il codice UE? Sicuramente stiamo parlando di una adesione che, dal punto di vista normativo, non è vincolante. L’Unione Europea non ha ancora un organico corpus di leggi contro la disinformazione online, ma non si esclude che possa dotarsene in futuro.

L’aggiornamento del Codice, che c’è stato nel mese di maggio, è stato propedeutico all’appello – realizzato nei confronti delle altre piattaforme – ad aderire al disegno della Commissione e a seguire le tracce di Facebook, Google, Twitter, Modzilla e TikTok che avevano già sottoscritto il documento negli anni passati. Questo allargamento ha subito un forte impulso a partire dal grande marasma di disinformazione a cui si è dovuto far fronte durante la pandemia di coronavirus. Al momento, l’aggiornamento del codice prevede di colmare le lacune sulla difformità di trattamento della disinformazione tra i vari stati membri, sulla mancata applicazione dei principi individuati nel codice, sulla mancanza di un sistema di monitoraggio adeguato alle esigenze più moderne. Sono stati dei punti che hanno convinto una platea sempre più ampia di operatori privati ad aderire a questa iniziativa.

Nel frattempo, la commissione europea sta continuando a lavorare sul Digital Service Act – che prevederà una maggiore responsabilità da parte delle piattaforme sui contenuti che propongono agli utenti – e non esclude che, se non dovessero esserci riscontri sufficienti, non ci possa essere una vera e propria azione legislativa per combattere la disinformazione online.

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