Lo smart working non è il telelavoro: crescono gli spazi di co-working

Il lavoro agile è diverso dal lavoro da casa. E in Italia aumentano gli spazi condivisi

21/02/2024 di Enzo Boldi

Ambienti condivisi in cui singoli lavoratori di diverse aziende (o liberi professionisti) si ritrovano per svolgere le proprie mansioni – a distanza – al di fuori degli uffici o delle mura delle proprie abitazioni. Un fenomeno, quello del co-working, che sta trovando nuova linfa anche in Italia, seguendo una tendenza già molto diffusa nel resto del mondo. In particolare negli Stati Uniti, Paese in cui questo nuovo paradigma è stato anticipato dal concetto di telelavoro muovendo o primi passi negli anni ’70, prima di crescere – e trasformarsi nei tempi e negli spazi – esponenzialmente nei primi anni del nuovo Millennio.

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Merito di Internet e di tutti gli strumenti che, oggi, sono messi a disposizione dei lavoratori. Merito di chi, seppur con qualche incidente di percorso, ha investito nella creazione di questi spazi condivisi destinati non al lavoro, ma ai lavoratori. Perché se un tempo il “modello cartaceo” del co-working era limitato dall’impossibilità di comunicare velocemente con il resto del mondo (e dell’azienda), oggi basta un pc, un tablet, una scrivania, un accesso a internet, a una e-mail e ad altri servizi (come Microsoft Teams) per organizzare e portare avanti il proprio lavoro da qualsiasi luogo.

La differenza tra smart working e telelavoro

Prima di parlare dello sviluppo del modello di co-working in Italia, occorre partire dalle definizioni (e dalle leggi che lo normano). In Italia, anche a livello prettamente legale, si è iniziato a parlare seriamente e concretamente di smart working solamente nel 2017, con la legge 81/2017 che va a normare “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato“. Tempi e spazi. Perché lo smart working, o lavoro agile, non solo permette al lavoratore dipendente (l’autonomo o libero professionista è libero di per sé di gestire tempi e spazi) di auto-regolamentare il proprio turno in base alle proprie esigenze, ma gli consente anche di scegliere un posto in cui svolgere le proprie mansioni. Un posto che può essere – anzi, dovrebbe essere – differente rispetto alla propria abitazione.

Perché il lavoro da casa, in realtà, non rientra strettamente all’interno del concetto di smart working, ma in quello di telelavoro, che è regolamentato dall’Accordo quadro UE siglato il 16 luglio 2002. La differenza è sostanziale: il lavoro agile è snello in tutto (anche nella gestione del tempo), mentre il telelavoro è una caratteristica meramente geografica che prevede il collegamento (durante il turno prestabilito) del lavoratore dalla propria abitazione.

Co-working in Italia, crescono gli spazi condivisi

Queste differenze sono sostanziali e sono anche alla base della crescita del numero degli spazi di co-working in Italia. I numeri più recenti parlano di circa 800 strutture adibite al lavoro condiviso sparse da Nord a Sud del nostro Paese. Circa il 60% di questi spazi si trovano nelle Regioni settentrionali (con Milano e la Lombardia in testa), mentre i restanti sono pressoché suddivisi a metà (20% e 20%) tra il Centro e il Sud Italia. E se il capoluogo meneghino la fa da padrona, anche Roma ha iniziato a veder nascere nuovi spazi di condivisione.

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