La Cina utilizza il software di AI per migliorare le sue capacità di sorveglianza
Pechino sta testando questo nuovo sistema di sorveglianza in vari contesti, ma gruppi di attivisti si ribellano accusando il paese di violare la privacy dei cittadini
08/04/2022 di Martina Maria Mancassola
Molte sono le aziende cinesi che hanno realizzato software di intelligenza artificiale per ordinare i dati raccolti sui residenti, nell’ambito di una forte richiesta, da parte delle autorità, che tentano di aggiornare i loro sistemi di sorveglianza. In Cina la sorveglianza è tramite AI. Reuters ha esaminato più di 50 documenti pubblicamente disponibili e ha scoperto che dozzine di entità in Cina, negli ultimi quattro anno, hanno acquistato il software noto come «una persona, un file». Il nuovo software migliora quello esistente, riuscendo a reperire i dati delle persone ma lasciando che le stesse siano libere di organizzarsi.
Cina e sorveglianza tramite AI: che cosa sta facendo il paese
Non è da oggi che la Cina ricorre a tecniche di AI per sorvegliare i propri abitanti. Già nella campagna 2015-2020, il paese ricopriva le sue città con telecamere di sorveglianza, definite come «occhi acuti», con l’obiettivo di fare lo stesso anche nelle zone rurali. Lo sviluppo e l’adozione del software «una persona, un file» risalgono, più o meno, allo stesso periodo. La ricercatrice Ohlberg ha dichiarato che il primo utilizzo di «una persona, un file», risale al 2016, in uno studio di fattibilità di sorveglianza di 200 pagine della contea di Shawan nello Xinjiang, per acquisire un sistema informatico in grado di «identificare e indagare automaticamente sulle persone chiave coinvolti nel terrorismo».
Secondo un bando pubblicato a luglio dal dipartimento di pubblica sicurezza dell’Henan – terza provincia più grande della Cina per popolazione -, «il sistema ha la capacità di apprendere in modo indipendente e può ottimizzare l’accuratezza della creazione dei file all’aumentare della quantità di dati. (I volti che sono) parzialmente bloccati, mascherati o con gli occhiali, e i ritratti a bassa risoluzione possono anche essere archiviati in modo relativamente accurato», anche se nulla si sa circa le modalità in cui viene in concreto utilizzato. Questo nuovo sistema «una persona, un file», secondo Mareike Ohlberg, senior fellow con sede a Berlino presso il German Marshall Fund, «è un modo per ordinare le informazioni che rende più facile rintracciare le persone».
Il nuovo software lascerebbe libere le persone di organizzarsi e, inoltre, sarebbe incapace, secondo Jeffrey Ding, borsista post-dottorato presso il Center for International Security and Cooperation di Stanford, «di collegare i dati personali di un individuo a una posizione in tempo reale tranne che ai controlli di sicurezza come quelli negli aeroporti». Il Dipartimento di pubblica sicurezza cinese, che sovrintende alle autorità di polizia regionali, non ha risposto alle richieste di commento sull’utilizzo di questo nuovo software ma quel che sappiamo è che, oltre alle unità di polizia, 10 appalti sono stati aperti da organi del Partito Comunista Cinese responsabili degli affari politici e legali. Il Governo cinese ha disposto che queste nuove tecniche di AI verranno messe a disposizione di molti settori del paese, in primis delle scuole. Ma non solo, perché sembra che siano stati coinvolti anche ospedali, aereoporti, trasporti in genere e, come sopra detto, alcune grandissime aziende, che dunque da ora sarebbero «costrette» a spiare i propri dipendenti e, probabilmente, anche i loro clienti.
Il problema che si pone è, ovviamente, quello della violazione di privacy ovvero attinente all’ampiezza del fenomeno del software «una persona, un file» in un paese così grande come la Cina. Molti attivisti per i diritti umani come Human Rights Watch hanno affermato che nel paese si sta costruendo uno «stato di sorveglianza» che viola la privacy e prende di mira gruppi di minoranza, come quello musulmano uigura. Ma Pechino respinge le accuse e si difende affermando che la sua sorveglianza è fondamentale per combattere la criminalità e che il software è stato fondamentale per combattere la diffusione del COVID-19. Secondo alcuni documenti del governo, poi, si è scoperto che alcuni utenti del software, come per esempio le scuole, volevano monitorare volti sconosciuti al di fuori della loro area di sorveglianza, cioè al di fuori del loro complesso. Altri, come quelli appartenenti alle unità di polizia nella prefettura di Ngawa nella provincia sudoccidentale del Sichuan, popolata principalmente da tibetani, lo hanno ordinato per motivi di sicurezza più espliciti e, infatti, la gara di Ngawa descrive il nuovo sistema di monitoraggio necessario per «mantenere la sicurezza politica, la stabilità sociale e la pace tra le persone».