Chico Forti e l’ombra del complottismo

18/07/2012 di John B

42MILA – Con cosa le hanno riempite 42.000 trascrizioni? A momenti nemmeno sui fatti dell’11 settembre sono state scritte tante pagine e documenti! Comunque, bando alle ciance. Io sul mio sito sull’11 settembre ho inserito decine e decine di migliaia di pagine di documenti. Non è stato difficile, la tecnologia moderna offre strumenti rapidi ed efficienti quali scanner, compressori ZIP e protocolli FTP. E poi nessuno pretende che si faccia tutto in un colpo solo. Io ci ho messo qualche mese (ma i documenti me li son dovuti cercare, anche attraverso procedure di accesso FOIA), basta iniziare.

UN DOCUMENTO – In tredici anni non hanno caricato nemmeno UN documento. Che so, almeno la requisitoria del Pubblico Ministero, giusto per iniziare. Ma a quanto pare, la verità è che nemmeno gli innocentisti hanno questi documenti e bisogna aspettare che una nota criminologa, tra un’apparizione televisiva e l’altra, si decida a metterli online. E noi aspettiamo…

Il sig. “B. conclude dicendo che se “cinque appelli posti per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti senza motivazione né opinione” ci sarà una ragione: “diventa difficile pensare che gli Stati Uniti siano entrati in guerra con Chico Forti”!

Sì, ho concluso così, si chiama opinione personale, ma anche ragionamento logico. A proposito, la pensa così anche Claudio Giusti: “Le sei possibilità d’appello concesse a CF sono un’enormità per un caso non capitale, ma i punti posti all’attenzione delle varie corti: Diritti Miranda, Regola Williams, Double Jeopardy, Convenzione di Vienna, Speed Trial, Conflitto d’interessi, sono terribilmente deboli e non hanno meritato nemmeno due righe di diniego”. Oh, Claudio Giusti si qualifica come esperto, collabora all’osservatorio sulla legalità e ha contribuito a fondare Amnesty International in Italia. Mica parliamo di lenticchie, qua.

Questa teoria è addirittura demenziale da parte di chi, come il sig. “B.”, si professa paladino della verità e non nota nemmeno la evidentissima contraddizione insita nella sua assurda teoria.

Si noti ancora la forte personalizzazione e la rancorosa acredine con cui scrive la Magda. Ormai per lei il problema non è più il caso Forti, se potesse scegliere tra liberare Chico o infilarmi in un tritacarne, comincio a credere che sceglierebbe la seconda possibilità…

Il sig. “B.” lascia supporre che tutte queste Corti abbiano controllato i documenti del processo e abbiano deciso che la sentenza pronunciata è giusta. Ma non è così. Sul fascicolo “Enrico Forti” è stato scritto “closed” e nessuno ha preso in minima considerazione le prove di innocenza riportate nelle petizioni presentate, rifiutando sistematicamente di discuterle.

Ma tutto questo non possiamo verificarlo, senza le famose carte processuali…

Quindi, logicamente, se c’è un veto alla base di dimostrare gli errori difensivi commessi durante il processo, perché si dovrebbe riaprire un caso che creerebbe molti problemi all’interno del palazzo dal momento che la concessione della revisione del processo è del tutto discrezionale?

Ma sì. E’ una cosa normalissima. Cinque, sei giudici, in altrettanti momenti diversi, esaminano le carte e pensano: “Certo che questo Forti è proprio innocente, ma che scocciatura riaprire il caso, lasciamolo marcire in prigione fino alla fine dei suoi giorni…”. E’ chiaro che dev’essere andata così, come ho fatto a non capirlo? Meno male che c’è la Magda a spiegarci come vanno le cose…

Nei punti successivi citati dal sig. “B.”, “Il caso”, “Imbrogli”, “Storie” e “Ancora”, denotano una preparazione pressapochista disarmante, sia nei vuoti contenuti che nelle scarse informazioni e soprattutto nelle deduzioni partigiane che lui ne trae.

 

E certo, il partigiano sono io… Ne riportiamo alcuni:

1)                  Dale Pike non si era fatto portare al parcheggio del ristorante a Key Biscayne per incontrare “amici del padre”, ma per incontrare amici del tedesco Thomas Knott. Infatti ci sono documenti che comprovano che Dale non si era recato a Miami per discutere dell’affare dell’albergo del padre con Chico Forti, ma aveva viaggiato per incontrare Thomas Knott per motivi che non si è mai voluto accertare quali fossero.

“Ci sono documenti che comprovano”, e noi proprio quelli vorremmo vedere. Comunque la dizione “amici del padre” era una semplificazione per esigenze di sintesi testuale. La ricostruzione innocentista dice letteralmente: “[Dale] gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e avrebbe trascorso alcuni giorni con loro, in attesa dell’arrivo del padre”.

 2) Non ci sono “pecche e gravi contraddizioni” da parte di Chico Forti nella compravendita dell’hotel. L’albergatore aveva fatto preparare dei documenti falsi dal suo commercialista da presentare al notaio German Pina per la cessione della quota spagnola (5%) della proprietà dell’albergo. Per questo non si è mai costituito parte civile dopo la condanna di Enrico Forti.

Io ho indicato solo alcuni esempi delle tante pecche e contraddizioni e ho linkato le relative pagine (scritte dagli innocentisti) così ognuno è libero di verificare a prescindere da ciò che dico io o dice la Magda. Non sarà mai troppo presto quando anche gli innocentisti faranno altrettanto.

3) E’ falso affermare che Chico Forti aveva comprato l’albergo di Ibiza per $25.000. Quella somma era stata data come anticipo per la quota di proprietà spagnola (appunto il 5%) quantificabile in azioni al portatore a disposizione di Anthony Pike. L’accordo di vendita dell’albergo vero e proprio del restante 95% era un altro (falso anche quello) e aveva una scadenza il 30 giugno successivo, vale a dire sei mesi dopo l’atto notarile ufficiale stipulato presso il notaio di Ibiza. Inesistente quindi la teoria dell’accusa che Dale Pike si era recato a Miami da Chico Forti “per vedere il denaro contante e siccome l’italiano non lo aveva, ha pianificato la sua eliminazione fisica”. Una conclusione illogica e insensata che comunque ha avuto il suo peso nel giudizio della distratta giuria popolare.

Siamo sempre al punto di partenza: dove sono gli atti processuali dai quali risulta tutto questo? Come facciamo a sapere che questa ricostruzione è stata provata e non – piuttosto – semplicemente sostenuta come linea difensiva o – peggio – inventata di sana pianta?

4) Quando si pone la domanda: “Ma allora l’albergo era o non era di Pike? Non è questione da poco visto che si può parlare di truffa solo se l’albergo viene venduto da un sedicente proprietario che non è tale”. Ma, sig. “B.”, lei pensa davvero che ci si inventi le cose senza avere un riscontro probatorio?

Lo ripeto. Quello che io penso non conta. Questo non è un gioco né un salotto di discussione, si sta parlando della vita di una persona (Enrico Forti), della morte di un’altra (Dale Pike) e dei sentimenti delle rispettive famiglie. In questi casi, contano solo i fatti. La sentenza è un fatto. Tutto ciò che la Magda ha detto sinora è un racconto, è una versione dei fatti. Che piaccia o no, questa è la situazione.

Ci sono i documenti che attestano che la cessione della proprietà da parte di Anthony Pike a delle società offshore del New Jersey, è avvenuta il 16 aprile 1997, esattamente otto mesi prima che lui avesse tentato di venderlo una seconda volta a Chico Forti. Il progetto era evidente: incassare più denaro possibile prima che si scoprisse la verità. Anthony Pike agiva per conto dei veri proprietari come gestore e in questa veste promuoveva delle iniziative promozionali, tipo la celebrazione del 25° anniversario della fondazione della struttura alberghiera.

Arriverà un momento, prima o poi, in cui la Magda capirà che non basta dire “ci sono documenti che attestano” per avere ragione?

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