La sentenza che potrebbe costringere Google alla censura

La chiave è un procedimento avviato dall'avvocato George Defteros che potrebbe fare giurisprudenza, con un effetto a cascata davvero importante

24/01/2022 di Redazione

Google sembra essere molto preoccupato per una decisione che è stata presa dalla Corte Suprema del tribunale del Vittoria, in Australia. In base a quanto deciso in prima istanza, infatti, i giudici sarebbero propensi a sancire un risarcimento danni per un avvocato australiano, George Defteros, che a Melbourne ha rappresentato la difesa di diversi esponenti della criminalità a Melbourne. Quest’ultimo sostiene di essere stato diffamato da un articolo di The Age, un quotidiano australiano, in cui si affermava che l’avvocato non era più soltanto il difensore di alcuni esponenti della malavita, ma addirittura un loro confidente. Secondo Defteros, questa accusa sarebbe diffamatoria: per questo ha citato in giudizio Google sostenendo che, nel momento in cui si digita il nome Defteros sul motore di ricerca, compare anche questo articolo del 2004. In prima istanza, è stata data ragione a Defteros, costringendo Google a un pagamento di 40mila dollari.

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La sentenza che potrebbe significare la censura di Google per i risultati di ricerca diffamatori

Google sostiene che, se la corte continuerà a dare torto al colosso Big Tech, aprirebbe un precedente significativo. Con conseguenze per tutto il mondo del web. Infatti, Google sarebbe trattato come editore, essendo ritenuto responsabile per tutti i potenziali contenuti diffamatori che vengono pubblicati in rete e che sono accessibili attraverso il suo motore di ricerca. Questo implicherebbe un serio controllo di Google su ciascun contenuto di questo genere, aprendo la strada a una vera e propria epoca di censura di Google per tutti i risultati di ricerca diffamatori.

Google, inizialmente, era stato contattato dai legali di Defteros per rimuovere questo articolo (datato 2004) dai suoi risultati di ricerca: era il 2016 e l’azienda replicò sostenendo che The Age fosse una fonte attendibile, negando – quindi – la rimozione. Google sosteneva che le parti diffamatorie di quell’articolo erano state rimosse direttamente dal sito di news che ne aveva curato la pubblicazione. Se la sentenza dovesse essere confermata, secondo Google, «il motore di ricerca sarà responsabile in quanto editore di qualsiasi argomento pubblicato sul web a cui i suoi risultati di ricerca forniscono un collegamento ipertestuale». La posizione di Google, dunque, è che un collegamento ipertestuale non può essere considerato un’azione editoriale e, pertanto, il suo comportamento non può essere considerato punibile.

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