La Corte Suprema nel Regno Unito ha bloccato un’azione legale di massa contro Google

La sentenza in Uk è un grande smacco, oggi, per quei cittadini che vogliono far valere i propri diritti e la propria privacy rispetto alle big tech

10/11/2021 di Ilaria Roncone

L’azione legale è stata bloccata perché, secondo la Corte Suprema, non c’era modo di provare che tutti gli individui coinvolti – oltre quattro milioni di persone tra Inghilterra e Galles – abbiano «sofferto alcun danno materiale o angoscia». La violazione contestata a Google riguarda il tracciamento non dichiarato delle attività di navigazione web di milioni di utenti iPhone tra il 2011 e il 2012 quando, a onor del vero, la società affermava proprio il contrario (ovvero di non stare raccogliendo dati).

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La vittoria di Google in appello

Google è andato in Corte Suprema per ribaltare la sentenza della Corte d’appello del 2019 che disponeva un risarcimento di 750 sterline circa per tutti gli utenti coinvolti nella class action. A rappresentare le tante persone coinvolte c’era Richard Lloyd, che si è detto «amaramente deluso dal fatto che la Corte Suprema non sia riuscita a fare abbastanza per proteggere gli utenti» dopo la sentenza. Il punto è che, secondo il giudice, mr. Lloyd non era in grado di provare che tutti coloro per i quali parlava avessero, appunto, subito dei reali danni come risultato della violazione di Google.

L’azione di massa contro Google in Uk avrebbe potuto fare da apripista

Come sottolinea anche SkyNews, se la class action contro Google fosse stata vinta si sarebbero aperte le porte per altre azioni collettive per casi di violazione dati da parte di bigh tech in Gran Bretagna. Molti consumatori sarebbero stati spinti a organizzarsi in class action per fare causa alle aziende accusate di aver violato la legge sulla privacy. «Hanno ribaltato una sentenza molto chiara dei giudici anziani ed esperti della Corte d’Appello – ha commentato Lloyd – Anche se la Corte ha riconosciuto ancora una volta che la nostra azione è l’unico modo pratico in cui milioni di britannici possono avere accesso a un giusto risarcimento, hanno chiuso la porta su questo caso, stabilendo che tutti gli interessati devono andare in tribunale individualmente».

La decisione della Corte Suprema, quindi, sembrerebbe basarsi più su una questione di forma – ovvero la class action invece della causa individuale – che sull’accusa effettiva fatta dai tanti consumatori: «Se ci sono poche conseguenze per l’abuso dei nostri dati personali, allora c’è poco incentivo per aziende come Google a proteggere i consumatori», ha sottolineato il rappresentate.

«Sentenza di oggi dà alle Big Tech la luce verde per continuare ad abusare dei dati»

Queste le parole dell’avvocato di Lloyd, che sottolinea come le big tech sanno che rimarranno impunite visto il verdetto. «È un giorno buio in cui l’avidità aziendale è valutata rispetto al nostro diritto alla privacy», ha detto, rincarando la dose rispetto all’appello diretto al governo fatto da Lloyd: «Il governo deve ora intervenire per rendere il sistema più chiaro e più forte, introducendo il diritto per i gruppi di consumatori di agire insieme sotto il Data Protection Act. La responsabilità di proteggere la nostra privacy, i diritti dei dati e l’azione collettiva è di nuovo del governo».

Google, dal canto suo, ha affidato a un portavoce il commento della sentenza: «Questo reclamo era legato a eventi che hanno avuto luogo un decennio fa e che abbiamo affrontato all’epoca». Google afferma di lavorare da decenni alla questione privacy e protezione degli utenti online concentrandosi sulla «costruzione di prodotti e infrastrutture che rispettano e proteggono la privacy delle persone».

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