I casi di cronaca in cui i “protagonisti” sono stati definiti (giornalisticamente) hikikomori

Ce ne sono stati anche in Italia, anche se spesso si abusa di questo concetto

10/11/2023 di Enzo Boldi

Spesso e volentieri, nel raccontare alcuni fatti di cronaca nera il giornalismo va alla ricerca di etichette. Succede praticamente per ogni accadimento oggettivamente grave. Si va a scavare nella vita delle persone (vittime e aggressori), tentando di dare risposte a episodi che – in molti casi – sembrano esser figli di fattori e fenomeni esterni che hanno sconvolto la vita dei “protagonisti”. E così, negli ultimi anni su molte testate abbiamo trovato articoli di approfondimento su casi di cronaca attribuiti (o attribuibili) alla condizione di hikikomori. Non sempre, ma alcune volte sì, questo termine (e concetto) viene abusato a livello giornalistico.

LEGGI ANCHE > Chi sono gli Hikikomori e perché c’entra anche il mondo digitale

Partiamo da due casi cronologicamente più recenti, accaduti a distanza di poche ore uno dall’altro nell’autunno dello scorso anno. La prima vicenda accadde il 27 ottobre dello scorso anno, quando un uomo di 46 anni – A. T. – entrò all’interno di un supermercato in un centro commerciale di Assago (Milano) accoltellando sette persone. Una di loro, un cassiere/commesso, morì mentre le altre sei (tra cui il calciatore del Monza Pablo Marì), furono ferite in modo più o meno grave. L’assassino venne arrestato e nel settembre scorso è stato condannato (con rito abbreviato, come riporta il quotidiano Il Giorno) a 19 anni e quattro mesi. Nel suo caso, molte testate attribuirono questo comportamento alla sua (presunta) condizione di hikikomori per via dei racconti dei familiari: una persona che viveva con la famiglia e non aveva contatti con altre persone al di fuori di quella sfera. Poi nulla più. Questo, però, è bastato per dare l’etichetta giornalistica.

Sempre in quello stesso giorno, il Carabiniere A. M. che lavorava ad Asso (provincia di Como) entrò nella sua caserma, sparando e uccidendo un comandante. L’uomo era rientrato in servizio da pochi giorni, dopo un ricovero per alcuni disturbi di natura psichica. E, anche in questo caso, questa storia è stata etichettata tra i casi di cronaca hikikomori. Senza che ci sia una conferma reale di quella condizione. Il processo è ancora in corso, con i periti che hanno valutato (inviando una relazione al tribunale) l’uomo “incapace di intendere e di volere”.

Casi di cronaca hikikomori, tra usi e abusi del termine

Un anno prima, nel settembre del 2021, un 22enne di San Giovanni La Punta (in provincia di Catania) uccise la sorella più grande di lui di 15 anni. Il cadavere della donna, dopo alcune ore di ricerca, venne ritrovato in campagna. Anche in questo caso, il carnefice è stato etichettato come hikikomori per via della sua decisione di “stare in disparte”. La donna venne uccisa a coltellate e il giovane fratello, durante l’interrogatorio, ha confessato la sua responsabilità: uccisa perché aveva chiesto ai genitori un’ingente somma di denaro per ristrutturare una casa in cui sarebbe dovuta andare a vivere con il futuro marito.

Facendo un salto indietro nel tempo, in questo viaggio sulle etichette giornalistiche dei casi di cronaca hikikomori, arriviamo al 2017. Un triplice omicidio commesso da un giovane brianzolo di 27 anni. I due nonni e una zia avvelenati con il solfato di tallio dissolto nell’acqua. E non solo: contro di lui c’è l’accusa – con lo stesso canovaccio – di aver tentato di uccidere altre cinque persone, tra cui quattro familiari. Nel corso delle udienze del processo, il 27enne ha detto di aver agito per obbedire ad alcune voci. La sua storia personale sembra rappresentare a pieno la condizione di un hikikomori: solitario, isolato dal mondo (per sua scelta), esperto di informatica e perennemente connesso a un mondo virtuale.

Share this article
TAGS