Carolina Morace: «Sono una donna che ama una donna e non mi nascondo più»

La grande sportiva ha deciso di parlare di sé per denunciare un mondo, quello del calcio, che è ancora oggi «troppo omofobo»

11/10/2020 di Ilaria Roncone

Ha le idee chiare Carolina Morace, su tutti i fronti. Professionista di livello, rigorosa e apprezzata sia come giocatrice che come allenatrice – è stata la prima donna ad allenare una squadra professionistica maschile, la Viterbese di Luciano Gaucci -, tramite un libro anticipato da un’intervista con il Corriere della sera ha deciso di fare coming out. Lei, per la quale da sempre la cosa più importante è «appoggiare chi è intelligente e capace, senza ipocrisie» e a prescindere dal sesso, ha deciso di rendere pubblico il suo orientamento e di raccontare la sua storia, quella con la (due volte) moglie Nicola Jane, così che altre persone nel mondo del calcio – «troppo omofobo» – possano sentirsi libere di farlo.

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Coming out Carolina Morace: «Sono una donna che ama una donna»

Lo dice in maniera semplice, naturale com’è giusto che sia e come dovrebbe essere sempre. Com’è in Australia, la patria della sua compagna e moglie Nicole Jane conosciuta ormai anni e anni fa. Se finora Carolina Morace si è nascosta perché «nel calcio c’è troppa omofobia», oggi non lo fa più e in parte lo deve a Nicola Jane Williams: «Lei ha ricevuto un’educazione diversa: in Australia, come in molti altri Paesi del mondo, il fatto che due persone dello stesso sesso si amino non interessa a nessuno. Lei stessa, nei primi tempi della nostra storia, quando veniva in Italia, si meravigliava del peso che diamo a queste scelte. E solo con lei sono riuscita a essere vera, senza maschere. Adesso non mi nascondo più». I dettagli della relazione sono raccontati nel libro Fuori dagli schemi, in uscita il 13 ottobre. Con il suo coming out Morace vuole essere d’aiuto alle generazioni più giovani.

Basta trattare le ragazze che vogliono giocare a calcio come «maschi mancati»

Quando ha detto a suo padre che si sposava con una donna la reazione è stata tanto serena come quando ha scelto di fare del calcio una carriera: «Va bene! Basta che tu sia felice». Del calcio femminile si parla realmente da poco e la questione è «squisitamente culturale: da noi il calcio femminile è soffocato da stereotipi che lo rendono poco appetibile, sì, parlo anche di sponsorizzazioni». Di suo padre – al di là dell’accettazione del coming out – riconosce l’appoggio da sempre: «Se lui avesse pensato — come molti facevano allora e fanno oggi — che il calcio femminile è uno sport per uomini mancati e non ci avesse visto una prospettiva, io non avrei il trofeo della Hall of fame del calcio italiano. Non ho mai detto “Da grande voglio giocare a pallone”, ho giocato e basta. E dico: non chiedete il permesso di fare una cosa che vi fa stare bene. Fatela. Assecondate il vostro talento. Sarà dura, ma vi sentirete vivi, veri e speciali».

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