Ancora una volta Brunetta si scaglia contro lo smart working

Brunetta ha definito lo smart working fatto dal settore pubblico come «un lavoro a domicilio all'italiana», sottolineando tutto quello che non sta funzionando

08/09/2021 di Ilaria Roncone

«Lo smart working è un lavoro a domicilio all’italiana»: così ha parlato Renato Brunetta sullo smart working oggi, nel corso del question time alla Camera. Parole ben poco lusinghiere per il lavoro agile da casa, con cui moltissimi italiani – del settore pubblico e non – hanno imparato convivere da quando è iniziata la pandemia. Il ministro della Pubblica Amministrazione, settore investito in pieno dal processo di digitalizzazione che il nostro paese deve attraversare, continua ad avere una cattiva opinione dello smart working nell’ambito della Pubblica Amministrazione perché – a suo dire – non è stato in grado di «garantire i servizi pubblici essenziali».

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Brunetta sullo smart working continua a sparare a zero

Il ministro ha indicato lo smart working che pratichiamo in Italia come «un abbaglio» che, sicuramente, «non è un modello per il futuro». Per Brunetta i dipendenti pubblici devono tornare a lavorare in presenza perché non in gradi di garantire la stessa qualità dei servizi offerti lavorando da casa. «Il lavoro agile può servire nell’emergenza – ha affermato il ministro della PA – ma non può essere il lavoro del futuro, proiettarlo nel futuro mi sembra un abbaglio».

I punti deboli dello smart working per la pubblica amministrazione li ha elencati tutti: «Oggi chi fa lavoro agile non ha un contratto specifico, non ha obiettivi, non ha tecnologie». E c’è anche la questione sicurezza, che Brunetta ci tiene a sottolineare: «Con lo smart working non c’è sicurezza, vedi il caso del Lazio». Ci sono anche dei punti a favore nella digitalizzazione – ha detto Brunetta – ovvero «Pnrr, il modo di fare i concorsi pubblici, l’interoperabilità delle banche dati in programma e il passaggio al cloud».

Il solo caso positivo citato da Brunetta per quanto riguarda il lavoro agile da casa riguarda l’Inps, ovvero il caso in cui «il lavoro da remoto ha funzionato durante il lockdown dove era regolato e strutturato con una piattaforma digitale già esistente».

(Immagine copertina: Foto IPP/Fabio Cimaglia)

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