La bocciatura della Consulta del referendum sull’eutanasia legale non c’entra nulla con lo Spid

C'è molta confusione sulla motivazione che ha spinto la Corte Costituzionale a decidere di non procedere con il referendum

16/02/2022 di Gianmichele Laino

C’è un grande scollamento dalla realtà e una grande confusione nell’ambito del dibattito pubblico seguito alla notizia, arrivata nella serata di ieri, della bocciatura da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario sull’eutanasia legale. Il fatto che il referendum sia dichiarato inammissibile non riguarda in nessun caso l’aspetto che ha rappresentato una delle innovazioni più rilevanti nell’ambito della democrazia digitale in Italia nell’ultimo periodo, ovvero la possibilità di raccogliere le firme per presentare la richiesta referendaria anche attraverso il sistema del web, grazie al processo di autenticazione e di identità digitale dello SPID. Sicuramente, questo aspetto non ha condizionato la decisione della Corte Costituzionale che – in attesa di leggere le motivazioni della sentenza – sembra essere incentrata su un concetto diverso: «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».

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Bocciatura eutanasia legale, non c’entra nulla lo SPID

La raccolta firme effettuata (anche) attraverso lo SPID e – di conseguenza – attraverso le piattaforme digitali che sono state predisposte dalle varie associazioni e comitati promotori (in attesa che, nel 2022, l’Italia possa dotarsi di una piattaforma unica e governativa dove questo procedimento possa essere uniformato) non rientra tra le motivazioni che hanno spinto la corte a pronunciarsi in questa direzione. Semmai evidenzia ancora di più lo scollamento tra chi – anche attraverso gli strumenti digitali a disposizione – ha risposto in maniera partecipata alla proposta di un referendum su un tema relativamente al quale era stata già evidenziata – nei vari procedimenti legali che si erano sviluppati in passato e che avevano visto come protagonista Marco Cappato – la necessità da parte del parlamento di legiferare. Un milione e duecentomila firme (di cui ben 400mila raccolte online, tra l’altro non determinanti al fine del raggiungimento della soglia limite di 500mila prevista per la richiesta di un referendum) rappresentano sicuramente una chiara espressione della volontà popolare.

Si sottolinea anche come le 400mila firme raccolte in maniera digitale abbiano offerto uno strumento significativo a larga parte del Paese per agire in maniera attiva rispetto alla tematica sollevata dai comitati promotori. Per questo la sentenza della Corte Costituzionale non punta a minare questa prova di maturità della democrazia italiana (e una delle sue conquiste più recenti). Semmai, porta con sé retaggi che è ancora difficile scrollarsi di dosso. E che nemmeno l’avvento delle piattaforme online e dell’identità digitale è riuscita a sostituire.

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