La lettera inedita di Primo Levi sugli orrori della Shoa: «Non eravamo più uomini»

Nessuno ha saputo spiegare meglio agli italiani la tragedia della Shoa come ha fatto Primo Levi. Nell’anno che segna le celebrazioni per il centenario della nascita (avvenuta il 31 luglio 1919), sono ancora le sue testimonianze a spiegarci gli orrori di quegli anni, soprattutto oggi quando – tra il dramma dei migranti e l’antisemitismo di ritorno, specialmente in Francia – il mondo intero e la società in cui viviamo sembra aver smarrito il concetto di umanità.

Primo Levi, la lettera inedita

La lettera pubblicata da La Stampa porta la data del 26 novembre del 1945. Si tratta di una epistola familiare, in cui il chimico e scrittore italiano di origini ebraiche cerca di dare notizie sul suo stato di salute dopo i lunghi anni della lotta partigiana e della deportazione nel campo di Monowitz, a pochi passi da Auschwitz.

La frase lapidaria di questa lettera, che ricalca il titolo del romanzo più fortunato che ha scritto successivamente, è «non eravamo più uomini». Primo Levi descrive l’arresto sulle montagne, mentre ancora stava organizzando la resistenza partigiana. Poi, il trasferimento in un primo campo di concentramento a Carpi e, di lì a breve, il viaggio verso Auschwitz, con i conseguenti orrori dei lavori forzati a cui erano sottoposti gli ebrei ritenuti «abili».

La descrizione dei forni crematori nella lettera inedita di Primo Levi

Nella lettera, invece, è descritta con dovizia di particolari la sorte destinata alle persone malate o deboli, non adatte ai lavori forzati. I forni crematori, le morti terribili: «Per tre anni il camino ha oscurato il cielo» – si legge nella lettera. Poi, la descrizione della liberazione e del faticoso ritorno alla normalità.

La Stampa ha deciso di pubblicare questa lettera proprio oggi, quando a Fossoli – nel campo di transito dove lo scrittore fu deportato per la prima volta – inizieranno le celebrazioni per l’anno del centenario della nascita di Primo Levi.

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