La vita è fatta a scale

In un solo colpo, nella serata di ieri, grazie a un grande afflusso di tifosi russi (ma sarebbero potuti essere indifferentemente turisti, pendolari, pellegrini o golfisti da Ryder Cup) ha permesso a Roma di realizzare due imprese in contemporanea: sfidare il vecchio adagio popolare «la vita è fatta a scale, c’è chi scende e c’è chi sale» e riportare il mondo intero allo stato di natura, assecondando per una volta, le leggi della fisica che contemplano la caduta dei corpi e non la loro risalita spontanea.

L’incidente nelle scale mobili della metro a Roma

Roma ha assecondato la gravità (e lasciamo l’interpretazione della parola gravità alla sensibilità del lettore). Esiste un sistema di risalita? Lo stato brado in cui versa la Capitale lo ha azzerato, ricordandoci che chi scende può solo precipitare ancora più in basso. Il pessimismo cosmico applicato a una trasferta ultrà.

Del resto, quella di ieri è solo l’ultimo indizio di una città tornata alla sua versione selvaggia. Il rifiuto della tecnologia (semplice) delle scale mobili fa il paio con le foglie nei tombini e con i rami secchi che nascondono la mano umana che c’è dietro l’asfalto, fa coppia con i fiumi di acqua che scorrono nelle strade a ogni minimo accenno di pioggia, con le cataste di rifiuti nei cassonetti abbandonati a sé stessi. Roma ci ha ricordato che l’uomo, in questa città, esiste soltanto per essere vittima del disastro.

L’ultimo incidente emblema dei disagi della Capitale

Anche la gestione dell’emergenza è stata indicativa in questo senso. I pendolari della metropolitana linea A non si sono potuti rendere conto dell’accaduto, dal momento che dagli altoparlanti arrivava solo una generica indicazione: «fermata Repubblica sospesa per ragioni di ordine pubblico». Salvo poi cadere in preda al panico quando, passando senza fermarsi proprio da Repubblica, hanno visto poliziotti e soccorritori divorarsi la banchina in un fuggi fuggi frenetico, con i feriti meno gravi ancora sul posto a rendersi conto dell’imponderabile.

E mentre la sindaca Virginia Raggi – con una retorica pentastellata che ben conosciamo, ma che diventa sempre più debole ogni qualvolta a parlare è un M5S di governo –  cercava disperatamente di dare la colpa a chi “saltava sulle scale mobili”, come se fosse una qualsiasi delle “amministrazioni precedenti”, andava in scena l’ennesimo dramma (fortunatamente con conseguenze limitate) della città eterna.

Da oggi, visto che l’impotenza regnerà sovrana a ogni inghippo, il povero utente della metro (occasionale o abituale, che magari paga anche il biglietto o l’abbonamento) dovrà arrivare in banchina con un doppio batticuore: il primo, atavico, dovuto alla speranza di trovare un treno con un’attesa inferiore ai sei minuti; il secondo, tutto nuovo, dovuto alla speranza di leggere sui tabelloni luminosi che ascensori, scale mobili e montascale siano fuori servizio (come già accade da tempo – del resto – in diverse stazioni della metropolitana, dalla A alla B).

Se li prendi, non sai mai cosa potrebbe succederti. Metti che qualcuno, per sbaglio, inizi a saltare.

FOTO: ANSA/PERI-PERCOSSI

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