L’Italia nella morsa dei dazi Usa, ecco cosa rischia

31/05/2018 di Redazione

Erano stati annunciati, sono stati congelati, ora diventano operativi: i dazi Usa diventeranno operativi dalla mezzanotte di giovedì 31 maggio.

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I dazi, che riguardano Ue, Messico e Canada, saranno rispettivamente del 25% per l’acciaio e del 10% per l’alluminio.

Lo ha annunciato il segretario al Commercio degli Stati Uniti Wilbur Ross, affermando anche di non temere ripercussioni dall’Unione europea: “Le ritorsioni dell’Unione europea sono poca cosa e rappresentano una piccola frazione della nostra economia da 18.000 miliardi di dollari“.

Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha espresso tutti i suoi dubbi per la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “L’Ue ritiene che questi unilaterali dazi Usa siano ingiustificati e in contrasto con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Questo è puro e semplice protezionismo. Ci siamo costantemente impegnati con gli Stati Uniti a tutti i livelli possibili per affrontare in modo congiunto il problema della sovraccapacità nel settore dell’acciaio. L’eccesso di capacità rimane al centro del problema e l’Unione europea non ne è la causa, ma al contrario ne è altrettanto danneggiata. Questo – ha sottolineato Juncker – è il motivo per cui siamo determinati a lavorare per soluzioni strutturali insieme ai nostri partner”.

E l’Italia? Rischia poco, pochissimo. C’è uno scenario inquietante che potrebbe a portare a una perdita del Pil del 0,7% nel 2019, anche se tale ipotesi si verificherebbe solo in una sorta di “guerra commerciale” tra Bruxelles e Washington.

In uno studio pubblicato da Confindustria nel marzo scorso, lo scenario più probabile è il seguente:

L’Italia è relativamente poco esposta ai nuovi dazi Usa. Nelle produzioni di acciaio e alluminio, direttamente colpite dai dazi, le vendite italiane negli Stati Uniti sono state pari nel 2017 a 760 milioni di euro, il 3,8% di quelle realizzate all’estero e appena lo 0,2% dell’export manifatturiero. L’interscambio di questi prodotti con gli Stati Uniti ha generato, comunque, un avanzo per l’Italia pari a 460 milioni di euro e un surplus complessivo con l’estero di 1,3 miliardi. I dazi potrebbero avere anche effetti indiretti negativi: primo, attraverso la deviazione delle esportazioni di altri paesi dal mercato Usa ad altre destinazioni, specie in Europa; secondo, penalizzando in modo particolare la Germania, primo esportatore europeo negli Stati Uniti e, a sua volta, mercato di destinazione di quasi un quarto delle esportazioni italiane di acciaio e alluminio (4,6 miliardi di euro nel 2017). Gli eventuali costi per l’export italiano sarebbero elevati in uno scenario avverso di escalation di misure protezionistiche tra Stati Uniti ed Europa, al momento improbabile. Inoltre, l’elevata incertezza avrebbe effetti negativi, difficili da stimare, sui mercati finanziari e sulla dinamica di scambi e investimenti mondiali. Nel caso di misure di rebalancing Ue, Trump intende ampliare la lista dei prodotti europei da sottoporre a dazi, a cominciare dall’automotive. Gli esportatori italiani sarebbero i più colpiti insieme a quelli tedeschi. Gli Stati Uniti, infatti, rappresentano il terzo mercato di sbocco per l’export manifatturiero italiano, con un valore di 40,1 miliardi di euro nel 2017 (9,3% del totale), e il primo per surplus commerciale, con un ammontare pari a 27,5 miliardi di euro (96,7 miliardi l’avanzo complessivo italiano). In particolare, il 23,0% dell’export industriale italiano negli Stati Uniti è costituito da mezzi di trasporto, il 18,7% da macchinari, il 10,1% da alimentari e bevande e il 9,5% da tessile, abbigliamento e calzaturiero

(Foto credits: Ansa)

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