Perché Airbnb è sottoposta al regime della cedolare secca

Il pagamento di una imposta sostitutiva all'Irpef e delle relative addizionali è sempre esistito per gli affitti (anche brevi). Ma una legge del 2017 ha definito l'intermediario come sostituto d'imposta che trattiene la "porzione" da versare all'Erario

07/11/2023 di Enzo Boldi

C’era un tempo in cui non esisteva la figura dell’intermediario. La persona X (locatario) si rivolgeva alla persona Y (locatore) per prendere in affitto (anche per un periodo breve) un immobile. Con il passare del tempo, sono entrate in scena le figure degli intermediari: singoli professionisti, prima delle aziende dedicate e poi delle grandi piattaforme. Al netto di questa evoluzione, c’è sempre stato un regime fiscale da rispettare, ma un tempo a fare i conti (diretti) con il Fisco era il proprietario dell’immobile dato in locazione. Dal 2017, invece, il paradigma è cambiato. Ed è da qui che è nato il rapporto tra Airbnb e la cedolare secca che, oggi, ha portato al sequestro (da parte della Guardia di Finanza) di 779 milioni di euro. Presumibilmente evasi.

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Partiamo dalla legge. Era l’aprile del 2017 e il governo italiano aveva appena approvato il Decreto legge numero 50 contenente l’articolo 4, relativo al “Regime fiscale delle locazioni brevi”. Al comma 5, l’identificazione delle piattaforme intermediarie come sostituti d’imposta:

«Per assicurare il contrasto all’evasione fiscale, i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali on line, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, operano, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto dell’accredito e provvedono al relativo versamento con le modalità di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e alla relativa certificazione ai sensi dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. Nel caso in cui non sia esercitata l’opzione per l’applicazione del regime di cui al comma 2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto». 

Dunque, fin dall’aprile del 2017 era nota questa dinamica e l’istituzione del rapporto diretto Airbnb-cedolare secca. All’epoca, la percentuale era del 21% e prima di questo intervento normativo, la dichiarazione e il versamento (alternativo al regime Irpef ordinario con le aliquote progressive) era responsabilità del proprietario dell’immobile che lo affittava.

Airbnb cedolare secca, cosa dice la legge italiana (e non solo)

Non solo la legge italiana. Perché nel dicembre del 2022 era stata la Corte di Giustizia Europea a sottolineare come la richiesta prevista dalla normativa italiana fosse legittima. E tutto ciò è stato confermato, il 24 ottobre scorso, anche dal Consiglio di Stato. Dunque, fin dal 2017 era noto il fatto che piattaforme come Airbnb – nel loro ruolo di intermediario tra locatore e locatario, anche per quel che riguarda la gestione dei pagamenti – dovessero trattenere dall’incasso da versare sul conto del proprietario dell’immobile quella quota relativa al pagamento delle tasse al Fisco italiano. Dunque, è loro responsabilità – nelle vesti di sostituti d’imposta – versare quanto dovuto all’Agenzia delle Entrate. In questo caso, parliamo di quel 21% di cedolare secca, secondo quanto previsto da decreto legislativo numero 241 del luglio 1997, deciso per quel che riguarda gli affitti brevi (dal prossimo anno, secondo la Legge di Bilancio approvata in Consiglio dei Ministri, ora al vaglio del Parlamento, questa cifra salirà al 26%).

Su quanti affitti non l’avrebbe corrisposta

Questo, dunque, è il contesto normativo che ha portato la Procura di Milano a indagare e il Nucleo Tributario della Guardia di Finanza a effettuare il sequestro di 779 milioni di euro (per l’esattezza, 779.453.912 di euro). Come si è arrivati a questa cifra? L’ha spiegato la stessa Procura meneghina titolare dell’indagine:

«La verifica fiscale ha fatto emergere che la società non ha ottemperato agli obblighi introdotti dall’articolo 4 del dl 50/2017, sottraendosi alla dichiarazione e al versamento, in qualità di sostituto d’imposta, di ritenute di ammontare pari all’entità del sequestro ottenuto dal Gip, calcolate in misura del 21% sui canoni di locazione breve per 3,7 miliardi relativi al periodo 2017-2021 dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzate dalla piattaforma. Gli importi sono stati successivamente retrocessi ai proprietari degli immobili, al netto della commissione per l’utilizzo della piattaforma digitale». 

Quei 3,7 miliardi di euro citati nel comunicato della Procura di Milano non è altro che il totale della base imponibile. Insomma, il giro d’affari della piattaforme in Italia (fino al 2021). Da lì è stato desunto quel 21% a titolo di cedolare secca che, secondo le accuse, non sarebbe mai stata versata. A partire dal 2017.

 

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