Cosa manca all’AI Act per garantire il rispetto del copyright dei prodotti AI?

Abbiamo parlato dell'AI Act e del punto in cui siamo con Francesco Archidiacono, portavoce di EGAIR (associazione che chiede di regolamentare lo sfruttamento delle tecnologie AI nell'interesse si artisti e creativi)

26/10/2023 di Ilaria Roncone

«Se l’AI Act passasse così come è adesso, per noi sarebbe comunque una vittoria considerato da dove veniamo»: con queste parole Francesco Archidiacono, portavoce italiano di EGAIR, ha commentato la bozza dell’AI Act attualmente in discussione. Con quelli di EGAIR avevamo già parlato, raccogliendo il loro appello e ottenendo una risposta da parte della Commissione europea. L’associazione lavora da mesi per chiedere di regolamentare lo sfruttamento delle tecnologie AI, con gli artisti italiani capofila in questa battaglia.

Una delle ultime questioni finite al centro dell’attenzione dell’associazione è quella relativa – come si legge nel comunicato stampa che hanno diffuso – ad «alcune iniziative organizzate nell’ambito dell’AI WEEK, per promuovere commercialmente piattaforme di AI generative, vale a dire quelle applicazioni di intelligenza artificiale in grado di riprodurre – partendo da un semplice testo – immagini, disegni o voci». Una questione che, considerati i meccanismi di partnership e sponsorizzazione di eventi del genere, secondo l’associazione deve essere denunciata.

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«Non sappiamo quale sia la posizione ufficiale del governo sull’AI Act in Consiglio europeo»

Interfacciandosi da mesi sia con istituzioni europee che con istituzioni italiane, abbiamo voluto capire in che modo queste ricevano le richieste di attenzione a istanza fondamentali come la protezione del diritto d’autore di creativi e artisti il cui lavoro è messo a rischio dalle aziende AI che – senza permesso – sfruttano il loro lavoro per allenare le loro intelligenze artificiali generative (in particolar modo, EGAIR ha portato all’attenzione dell’Ue l’azione delle tre realtà più grandi, OpenAI, Midjourney e Stability AI). «A livello europeo il riscontro è stato molto positivo – ha spiegato Archidiacono ai microfoni di Giornalettismo -,  abbiamo iniziato a rapportarci con i relatori dell’AI Act già da gennaio 2023. La nostra intenzione era quella di far inserire all’interno dell’AI Act degli articoli che facessero almeno riferimento al tema del copyright quando si parla di AI, quello era l’obiettivo più raggiungibile».

«Dopo un momento iniziale in cui pareva non si potesse fare nulla, col rilascio di ChatGPT al grande pubblico i lavori dell’AI Act sono stati prolungati di alcuni mesi e quindi è stato possibile inserire degli articoli specifici che fanno riferimento alle AI generative, in particolare il 28b (che prevede che chi fornisce modelli generativi di AI debba «documentare e rendere disponibile al pubblico una sintesi dell’uso dei dati di addestramento protetti dalla legge sul diritto d’autore» n.d.R.), che fa riferimento esplicito al copyright. Questo è successo anche per spinta nostra perché i relatori con cui abbiamo avuto contatti noi sono anche quelli che hanno pressato affinché fossero inseriti questi riferimento al copyright. Rimane chiaro che l’AI Act sia un documento frutto di compromesso tra varie parti e che non era pensato per regolamentare questa materia specifica, quindi una serie di protezioni che offre sono ancora limitate ma ci sono stati passi avanti», conclude l’artista e portavoce.

Per quanto riguarda l’Italia, afferma, «noi abbiamo parlato sin dall’inizio con il governo, con il Dipartimento per la Transizione digitale e con il Ministero della Cultura, in particolare. Siamo anche andati a parlare alla Commissione Attività produttive, abbiamo in programma di andare a parlare in Commissione Cultura su questi temi. Tutti gli interlocutori con i quali ci siamo rapportati noi ci hanno dato degli ottimi riscontri, si sono detti più che interessati a difendere la creatività italiana».

«Non sappiamo però – ha sottolineato Archidiacono – quale sia la posizione ufficiale che l’Italia ha adottato in sede di Consiglio europeo, al momento l’AI Act è in discussione tra Parlamento Ue e i vari rappresentanti degli Stati al Consiglio europeo. Non ci è chiaro che posizione abbia adottato l’Italia, auspichiamo una posizione di difesa degli interessi di creativi e artisti italiani chiaramente».

La riflessione successiva sull’AI Week arriva di conseguenza: «Nessuno dei nostri interlocutori diretti partecipa all’AI Week, ci sono rappresentanti del governo ma immagino che persone come Brando Benifei, relatore dell’Ai Act, sia lì in veste di contraddittorio. Lo stesso sarà per Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, che ha posizioni che sono identiche alle nostre. Un conto – però – sono i partecipanti, un conto sono sponsor e stakeholder di un evento del genere, che sono un supporto diretto».

Cosa manca nell’AI Act secondo EGAIR?

«Al momento – spiega il portavoce – la nostra posizione è che – a livello di copyright e di privacy – noi, in Europa, abbiamo già tutta una serie di protezioni a cui possiamo fare ricorso. Quello che ci manca al momento sono delle clausole minime di trasparenza per dimostrare, effettivamente, che queste aziende hanno commesso degli illeciti e per vedere tutelati questi nostri diritti. In alcuni casi certe cose possono essere dimostrate già da ora, ma ci sono aziende come OpenAI, dove tutto quanto è chiuso e secretato, per cui è tutto più complicato».

«Al momento l’AI Act con l’articolo 28b stabilisce, tra i compiti di chi fornisce servizi di AI generativa, ci deve essere anche il rilascio di un sommario sufficientemente dettagliato dei contenuti coperti da copyright utilizzati per il training. Ecco, noi invece pensiamo che debba esserci una full disclosure: i data set devono essere completamente aperti in modo che sia pensabile per tutti e facile per tutti verificare se i loro contenuti sono stati o meno utilizzati».

«Credo sia importante sottolineare che questi requisiti di trasparenza valgono per chiunque, non sono strani, eppure queste aziende fanno molta resistenza quando si parla di queste questioni. Le regole di trasparenza servono anche per la ricerca, per replicare certi studi e certi esempi, non è solo una questione di artisti contro aziende. Se un’azienda ha fatto tutto in regola, non dovrebbe avere così tanti problemi a fare disclosure del materiale utilizzato. Perché, allora, c’è così tanta resistenza per delle semplici clausole di trasparenza?», conclude il portavoce di EGAIR.

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