Azione contro la fame: «L’agroecologia è l’unico modo per liberare il mondo dalla malnutrizione»

Le popolazioni vulnerabili sono sempre più esposte all'insicurezza alimentare: secondo Azione contro la Fame, organizzazione umanitaria specializzata nella lotta alla fame e alla malnutrizione infantile, occorre tracciare una strategia di sviluppo sostenibile di lungo termine e a misura d’uomo. Il caso africano

22/04/2021 di Redazione

Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono sempre più visibili e minacciano, ogni giorno, sempre più persone: siccità, inondazioni, tempeste sono in costante aumento e colpiscono più duramente le popolazioni già vulnerabili. Lo sostiene Azione contro la Fame, organizzazione internazionale umanitaria impegnata, da 40 anni, nella lotta alla fame e alla malnutrizione nel mondo (www.azionecontrolafame.it).

Lo ha evidenziato anche l’ultimo Rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione (SOFI): per il quarto anno consecutivo le persone affamate, anche a causa dei cambiamenti climatici, sono aumentate fino 690 milioni. Nel 2018, la Banca Mondiale aveva già lanciato un altro tipo di allarme per il 2050, anno in cui potrebbero diventare 143 milioni i cosiddetti “migranti climatici”. Solo oggi, secondo il recente rapporto annuale dell’UNHCR, sono 80 milioni i rifugiati costretti a lasciare le loro case a causa di guerre, di carestie e anche dei cambiamenti climatici.

L’appello di Azione contro la Fame: promuovere l’agroecologia

La situazione, secondo Azione contro la Fame, è preoccupante: di fronte al susseguirsi di crisi, il personale impegnato nei quasi 50 Paesi presidiati dal network, anche alla luce della recente emergenza coronavirus, sta intervenendo, in tempi rapidi, sul versante della prevenzione e della cura della malnutrizione, dell’accesso all’acqua e dell’assistenza sanitaria. Allo stesso tempo, l’organizzazione sta lavorando, in un’ottica di medio-lungo termine, per proporre soluzioni efficaci finalizzate a rendere le popolazioni locali più resistenti. È il caso dei progetti che mirano a promuovere l’agroecologia nell’ambito della agricoltura contadina.

«L’agroecologia – ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame – è un modo di progettare sistemi di produzione alimentare basati sulle specificità offerte dai singoli ecosistemi e ha il grande merito di sostenere le necessità delle popolazioni locali e di ridurre, al tempo stesso, le pressioni sulle risorse naturali». Tale sistema mira, del resto, a trovare una simbiosi con l’ambiente: oltre all’assenza di prodotti fitosanitari, all’uso del compost e alla ricerca della complementarità tra le specie, l’agroecologia fa propri alcuni importanti parametri di gestione ecologica, come l’uso parsimonioso dell’acqua e dello spazio coltivato, la riforestazione e la lotta all’erosione.

«Un’agricoltura a misura d’uomo»

Un nuovo approccio che, di fatto, evidenzia i limiti dell’agricoltura industriale: il rapporto 2019 realizzato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha già dimostrato che i pericoli connessi allo sfruttamento intensivo di terre coltivabili costituiscono un tema che il mondo, oggi, non può più ignorare. L’uso di pesticidi o le monocolture, per esempio, contribuiscono all’aumento dei gas serra e all’impoverimento e al degrado del suolo che, invece, va preservato come “serbatoio di stoccaggio” di carbonio utile catturare e trattenere la CO2 dall’atmosfera. Nel 2019, i terreni agricoli hanno occupato circa il 38% della superficie. Tale superficie, oggi, continua ad aumentare anche in ragione dell’aumento della domanda di prodotti animali, aumentando i rischi legati alla deforestazione. Gli esperti dell’IPCC raccomandano, in tal senso, “un’agricoltura diversificata, territoriale e a misura d’uomo”.

«Con l’intensificarsi dei fenomeni climatici, le popolazioni già vulnerabili sono più che mai esposte all’insicurezza alimentare – aggiunge Garroni -. Desertificazione, inondazioni, scarsità di scorte alimentari costringono milioni di persone a spostarsi pur di sopravvivere. Gli agricoltori e i piccoli produttori dei Paesi in via di sviluppo sono i primi a subirne le conseguenze. Occorre, in tal senso, lavorare con l’obiettivo di sostenere di più l’agricoltura di tipo ‘familiare’, che rappresenta l’80% della produzione alimentare globale. Se così non fosse, oltre alla perdita del loro unico mezzo di sussistenza, rischiamo di veder svanire anche la capacità di nutrire il resto del mondo». 

La scuola contadina di Azione contro la Fame

È la ragione per cui Azione contro la Fame ha promosso, in alcuni Paesi, momenti di formazione delle comunità locali. È il caso della missione in Camerun, un Paese caratterizzato da un forte afflusso di rifugiati e sfollati interni a causa del conflitto nella Repubblica Centrafricana e delle violenze legate all’ascesa di Boko Haram nella regione del Lago Ciad.

«La scuola contadina è, innanzitutto, un metodo per condividere esperienze. Ognuno viene con il suo know-how e impariamo insieme – ha spiegato Papa Abdou, facilitatore di Azione contro la Fame nella missione in Camerun -. L’organizzazione ci ha formato su tecniche che non conoscevamo, come l’agroecologia. Si tratta di pratiche che non costano molto e che sono efficaci. Un campo senza fertilizzanti e insetticidi è più produttivo. Spesso i vicini che usano prodotti chimici ci chiedono come facciamo. Le nostre piante, infatti, crescono più delle loro. È grazie all’agricoltura che posso prendermi cura della mia famiglia. Siamo in 23; ho 18 tra figli e nipoti. Inoltre, mio fratello e sua moglie sono stati uccisi da Boko Haram e ho accolto i loro figli».

Azione contro la Fame. È una organizzazione umanitaria internazionale leader nella lotta contro le cause e le conseguenze della fame e della malnutrizione. Da 40 anni, salva la vita di bambini malnutriti, assicura alle famiglie acqua potabile, cibo, cure mediche e formazione, consentendo a intere comunità di vivere libere dalla fame. Nel 2019, a livello globale, Azione contro la Fame ha curato 654 progetti. Grazie al suo network internazionale ha raggiunto, complessivamente, oltre 17 milioni di persone in quasi 50 Paesi. L’organizzazione, grazie al suo staff prevalentemente locale, lo scorso anno ha risposto, efficacemente, a ben 43 emergenze.

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