Gli invalidi invisibili

Chiedi di poter accedere all’area per persone disabili del concerto così da sederti e proteggere le tue scarse difese immunitarie, ma la security ti guarda e ti vieta l’accesso nonostante il biglietto ridotto o i verbali omissis; chiedi un biglietto ridotto e ti fanno il terzo grado; fai la coda con priorità e ti senti insultare alle spalle; vedono una cabrio col pass e ti additano come falso invalido; tieni nascosta la malattia e ti accusano di vergognartene; parli della malattia e ti accusano di spettacolarizzazione; ti vedono bene ma stai una merda.

Queste sono solo alcune delle situazioni cui sono andato incontro e cui andiamo incontro noi persone innanzitutto, poi invalide e poi oncologiche (noi non siamo la malattia!) La disabilità non è tanto intrinseca in noi quanto in ciò che ci circonda. «I polli hanno le ali ma non possono volare, significa che sono disabili perché gli altri uccelli possono? Se tu entri in una comunità dove tutti usano la lingua dei segni e tu non la conosci, chi è il disabile allora?» [Carola Insolera].

La disabilità negli occhi degli altri

Ho colto queste metafore di persona nel Dialogo nel Buio dove ‘provi a vivere’ la cecità o meglio, a vivere gli altri quattro sensi e dove ti accorgi come i ruoli si invertano: nel buio, improvvisamente, sei tu ad aver bisogno di una guida, e quella guida è quella persona che fino ad un attimo prima consideravi ‘invalida’ causa cecità. Io non mi sento «portatore di handicap in situazione di gravità comma bla e articolo bla bla» tanto perché lo scriva l’INPS quanto perché non sento di poter svolgere al 100% la vita che vorrei, seppur la malattia mi abbia fatto conoscere altri aspetti che avrei altrimenti ignorato.

Gli invisibili

No sole, no mare, no dolci, no bici enduro, no lavori stancanti, no lavori a distanza (e non è un vantaggio se il tuo lavoro è la tua passione e non ce l’hai sotto casa o sotto l’ospedale), no viaggi dove non vi è immunità di gregge sono alcuni esempi. Per non parlare di tutto ciò che non è vietato ma che non fai per il senso di colpa, o semplicemente per paura. E allora mi piace pensare che forse siamo invisibili solo perché non siamo così diversi. Se non fossi ‘bionico’ come mi aggettivava qualche compagno di classe, non potrei avere accesso a delle terapie o meglio, loro non avrebbero accesso al mio corpo. Ed è così che un catetere diventa estensione di noi stessi, proprio come un accesso al web senza il quale qualsiasi persona non sarebbe più in grado di svolgere alcune semplici azioni, o senza il quale un influencer non avrebbe di che vivere.

Lo sfigato invisibile.

di Jacopo Juri Grasso

(foto di copertina: ANSA/FABIO FRUSTACI)

 

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