Con i social network non ha più senso parlare di silenzio elettorale

In passato la vigilia delle elezioni e il giorno del voto erano racchiusi in un sacrale silenzio. Oggi, non è più possibile

25/09/2022 di Gianmichele Laino

C’è una legge, in Italia, che – come tante, troppe altre – non è riuscita a cambiare pelle, nonostante l’evolversi del tempo. Questa legge è la legge 212 del 1956 – guardate bene all’anno in cui è stata promulgata -, che disciplina la propaganda elettorale. All’articolo 9 si legge: «Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, la nuova affissione di stampati, giornali murali e altri manifesti di propaganda». Ora, al di là delle sanzioni previste per la violazione del silenzio elettorale che – tra l’altro – non sono nemmeno particolarmente onerose, notiamo immediatamente l’assenza di diverse cose. Ci sono i giornali murali e i manifesti (che in questa campagna elettorale 2022 sono stati utilizzati davvero pochissimo), ma manca qualsiasi riferimento ai social network. Per forza: se la legge è del 1956 e nessuno si è preoccupato di aggiornarla, era impossibile anche per il più illuminato dei legislatori arrivare a pensare a una cosa del genere 66 anni fa.

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La presunta violazione del silenzio elettorale

Se consideriamo che oggi le campagne elettorali si fanno maggiormente attraverso i social network, capiamo subito quanto una legge del genere permetta una certa discrezionalità sull’utilizzo di Instagram Stories, post su Facebook, contenuti sponsorizzati. Anche se non dovesse postare direttamente nelle 24 ore precedenti alle elezioni (e molti politici lo hanno fatto, chi in maniera più discrezionale, mostrando soltanto la propria azione quotidiana, semplicemente per marcare il territorio e ricordare io ci sono; chi in maniera spudorata pubblicando manifesti con simbolo di partito e invito a votare), l’algoritmo dei social network come Facebook riporta in alto, nel news feed dell’utente, anche video, dichiarazioni, immagini, scritti di candidati che – pubblicati in tempi utili – si diffondono con un delay di uno o due giorni. Non è insolito ritrovarsi il video di un comizio svoltosi il venerdì, alle 8 di mattina del 25 settembre, a urne aperte.

Il silenzio elettorale, allora, viene destinato più a una questione di cavalleria che di legge. E in una campagna elettorale dove occorreva essere spudorati, va da sé che questa cavalleria sia passata di moda. Che senso ha, dunque, come hanno fatto alcune testate (e come faceva anche Giornalettismo qualche tempo fa, illudendosi che si potesse mettere un argine a questa prassi) dire che il politico x o il candidato y abbiano violato il silenzio elettorale con una IG Story o con un post su Facebook (persino con un messaggio su WhatsApp)? Il riferimento, nella giornata di ieri, è stato ai commenti di Matteo Salvini o di Fratelli d’Italia relativamente alla manifestazione del Pd in Piazza del Popolo a Roma.

Fino a quando non ci sarà una legislazione completa e puntuale sull’utilizzo dei social network in campagna elettorale – e non parliamo solo del silenzio elettorale, ma anche della par condicio e dei fondi spesi per le sponsorizzazioni dei contenuti -, non ci si potrà lamentare. Da tempo, i buoi sono scappati dal recinto.

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