Variante inglese e confusione italiana: per fortuna c’è il NY Times
A guardare alle prime pagine di oggi, in Italia, si assiste al solito balletto di opinioni sul nuovo ceppo di coronavirus
21/12/2020 di Gianmichele Laino
La rassegna stampa italiana di oggi è unanime. Nel senso che c’è accordo su quello da inserire in apertura di prima pagina. La variante inglese del coronavirus è l’argomento del giorno, sia sui media tradizionali, sia sui social network, soprattutto dopo la notizia – data dal ministro Luigi Di Maio – del blocco dei voli dalla Gran Bretagna. Virus cambiato, un caso in Italia titola il Corriere della Sera. Fa eco Repubblica: Il virus inglese è già in Italia. Il nuovo Covid è a Roma: ora serve il lockdown scrive Il Messaggero.
I titoli si basano sul fatto che la variante inglese del coronavirus sia stata analizzata in una paziente presso l’ospedale militare del Celio a Roma. Sui siti italiani, inoltre, la situazione è ancora più complessa di quanto non mostrino già le prime pagine delle edizioni cartacee: ci sono una serie di opinioni di scienziati, spesso in contrasto tra loro, che analizzano possibili effetti del ceppo di Sars-Cov-2 studiato in Gran Bretagna sui vaccini, in particolar modo su quello Pfizer atteso in Italia nella prossima settimana.
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Variante inglese del coronavirus, il modo di affrontare l’argomento
La variante inglese del coronavirus è senz’altro una notizia su cui bisogna essere informati. Tuttavia, è opportuno fornire queste informazioni in maniera corretta, senza alternare allarmismi, opinioni, dichiarazioni contraddittorie. Su quest’ultimo punto, in particolar modo, vale la pena sottolineare che il fatto di dare spazio a due versioni contrastanti non rappresenta sempre “completezza di informazione”, soprattutto se una delle due dichiarazioni è supportata da osservazioni scientifiche e l’altra contraria soltanto da supposizioni. Dunque, non ci resta che guardare al modello NY Times, per valutare la tipologia di informazioni certe e non confuse che si possono dare sulla variante inglese del coronavirus.
Apoorva Mandavilli è la giornalista scientifica che si è occupata di coronavirus – sin dalle prime battute della pandemia – per il NY Times. Rappresenta una sorta di bussola da seguire per le informazioni scientificamente corrette sulla diffusione della pandemia. Ovviamente, la giornalista si è concentrata sulle fonti affidabili anche per raccontare la variante inglese del Sars-Cov-2. La premessa da cui partire è che in Gran Bretagna la gioia per la somministrazione del vaccino sia stata smorzata dalla notizia di una variante del coronavirus potenzialmente più contagiosa, ma che – mentre gli scienziati dovranno continuare ad analizzare il fenomeno – il resto della popolazione non deve farsi prendere dal panico.
Variante inglese, come si misura la sua maggiore trasmissibilità?
La nuova variante del coronavirus prevede ben 23 mutazioni (tra queste anche la versione sudafricana e quella danese, la fonte è Muge Cevik, esperto di malattie infettive presso l’Università di St. Andrews). Può essere che alcune di queste varianti presentino un indice di trasmissibilità più alto (le autorità italiane hanno quantificato questa trasmissibilità basandosi ancora una volta sull’indice Rt, sostenendo che la variante inglese possa farlo incrementare, da sola, di 0,5 punti). Tuttavia, come hanno concordato in maniera abbastanza omogenea diversi scienziati, questa mutazione non avrà effetto sul vaccino fino a questo momento prodotto: prima che un virus possa essere resistente a un vaccino, infatti, dovrà cambiare molto più spesso. E anche se il Sars-Cov-2 si è dimostrato essere abbastanza rapido nelle sue evoluzioni, non sembra affatto il caso di preoccuparsi per i possibili effetti di questa variante inglese sul vaccino che si sta iniziando a somministrare.
Variante inglese e impatto zero sull’efficacia dei vaccini
Tra l’altro, sempre Cevik ha sottolineato come la maggiore possibilità di diffusione (stimata al 70% in più) non sia basata su esperimenti in laboratorio, ma esclusivamente su modelli matematici (pertanto, la percentuale di maggiore diffusione deve essere ancora confermata). E questi modelli matematici – gli scienziati non lo escludono – potrebbero essere in qualche modo influenzati dai comportamenti umani che in Gran Bretagna, nonostante le restrizioni annunciate da Boris Johnson, non sono stati particolarmente irreprensibili. Stessa cosa anche per il Sud Africa.
Inoltre, si ricorda, la variante inglese non è comparsa da un giorno all’altro. Da diversi mesi è stata analizzata dagli scienziati (vi ricordate il caso dei visoni in Danimarca?) e il fatto che sia stata sequenziata anche in Italia non significa che sia arrivata ieri nel nostro Paese. Si tratta di una mutazione del virus che è ormai in circolazione, i cui effetti sulla popolazione europea si stanno già facendo sentire. È un aspetto che gli scienziati stanno studiando da tempo e che deve far parte della nostra opinione condivisa sul coronavirus: è in grado di mutare, è in grado di presentarsi in forme diverse, ma queste sue mutazioni (se non nell’orizzonte temporale di anni) non andranno a incidere sui vaccini che, nel frattempo, offriranno una difesa sempre più salda alla popolazione umana nel contrasto alla pandemia.