Musk si tradisce da solo: i paradossi della strategia per cancellare “Twitter”

L'ultima mossa è stata inquietante e pericolosa. Inoltre, tutto ciò che oggi fa riferimento a X passa per il dominio di Twitter

15/04/2024 di Enzo Boldi

Nel suo egocentrismo assolutista, Elon Musk continua a perdersi in un bicchiere d’acqua. Il caso del (finto) redirect di ogni riferimento (passato e presente) a twitter.com è l’emblema di come l’uomo più ricco del mondo pensa di risolvere i “problemi della rete”. Eppure, ogniqualvolta ci si collega su X (questo il nome della piattaforma dal 23 luglio dello scorso anno), ogni riferimento (anche informatico) è a Twitter. Dunque, il paradosso: probabilmente Musk ordina ai suoi ingegneri di fare un qualcosa e questi ultimi (speriamo siano a conoscenza delle più basilari regole della programmazione informatica) eseguono senza contraddirlo. Anche di fronte alle evidenze.

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Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, quel finto redirect (trattandosi solamente di una modifica alla visualizzazione) da twitter.com a x.com poteva portare a enormi problemi di sicurezza informatica per gli utenti. Anche perché, il fatto di aver portato avanti questa procedura senza chiedere il consenso degli utenti e con una superficialità che ha coinvolto – di fatto – anche molte altre aziende o siti che hanno la sfortuna di avere il dominio che termina in x.com, è del tutto estemporaneo visto che X vive nell’ecosistema di twitter fin dalla nascita. E lo si può vedere semplicemente ogni giorno.

Twitter è l’ossessione irrisolta di Elon Musk

Basti pensare che per collegarsi a X, si può digitare si l’url x.com sia quello twitter.com. In ogni caso, una volta collegati alla pagina, l’url visibile all’interno della barra del proprio browser farà sempre riferimento al nome originale della piattaforma creata da Jack Dorsey nel marzo del 2006.

Stesso discorso vale per altre dinamiche interne alla piattaforma. Per esempio, proviamo a embeddare (incorporare) un nostro post X pubblicato questa mattina in questo articolo.

Per fare questa operazione, si apre una pagina in cui sono molteplici i riferimenti a Twitter, anche per quel che riguarda il codice HTML da utilizzare per incorporare il post.

L’url fa riferimento al vecchio nome della piattaforma. E anche l’url del post stesso che vogliamo embeddare in un articolo cita lo stesso nome. Senza alcuna traccia di “X”. Stesso discorso, come detto, per il codice HTML da inserire nel back-end del nostro sito per far apparire il post.

Addirittura la dicitura twitter-tweet che, secondo la concezione di Elon Musk, in teoria dovrebbe essere x-post. Peccato che non sia così. Stesso discorso anche per il tool ufficiale (Card Validator) per effettuare il debugging di un tweet. Pardon, di un post su X.

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