Il 30% dei cittadini europei ha avuto problemi sul lavoro a causa dei post pubblicati sui social

Un post su Facebook, un like o un tweet rischiano di creare "incidenti diplomatici". In tanti vorrebbero cancellare cose pubblicate in passato. È questo quanto emerge da una ricerca condotta da Kaspersky

25/01/2022 di Enzo Boldi

I “ricordi” di Facebook aiutano, spesso e volentieri, a ricordare quel che eravamo nella nostra identità social. C’è chi li osserva divertito, chi con un po’ di vergogna e chi, mestamente, non sopporta quel proprio essere che fu e decide di cancellare quanto pubblicato in passato. Poi c’è anche chi tenta di correre ai ripari: continua a pensare esattamente ciò che scrisse anni fa, ma per questioni di opportunità sceglie di rimuoverlo. Perché c’è un fenomeno reale che crea un miscuglio esplosivo tra il digitale e il reale. Ed è questo quel che si evince leggendo l’ultima ricerca effettuata da Kaspersky che, tra i tanti argomenti, è andato a toccare anche quello delicatissimo del rapporto tra social e problemi al lavoro.

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Si tratta di un’indagine all’interno dei confini del Vecchio Continente che ha coinvolto un campione di 8.500 persone che vivono in 11 Paesi diversi: Italia, Francia, Svizzera, Grecia, Slovacchia, Spagna, Germania, Romania, Austria, Paesi Bassi e Regno Unito. La ricerca di Kaspersky ha offerto diversi spunti di approfondimento, tra cui quello dei social e i problemi al lavoro. Tra gli intervistati, infatti, è emerso un dato concreto che rappresenta al meglio lo specchio dei tempi: il 30% di loro (quasi uno su tre) ha avuto conseguenze sul proprio lavoro (qualunque esso sia) proprio a causa di un post, una foto, un tweet pubblicato su una delle tante piattaforme che rendono la nostra identità digitale visibile al mondo degli “amici” virtuali.

Social e problemi al lavoro, la ricerca di Kaspersky

E i post che creano “maggior dibattito” e hanno provocato problemi (ma non è specificato di quale natura e con quale epilogo) anche sul lavoro personale di quel 30% di cittadini che hanno “raccontato” la loro esperienza riguardano, in particolare tre aspetti sensibili: pubblicazioni con un linguaggio denigratorio nei confronti delle minoranze o delle persone con disabilità, post contro la vaccinazione anti-Covid e altri in cui si utilizzano epiteti “poco carini” (per usare un eufemismo) nei confronti delle persone LGBTQ+. Insomma: xenofobia, razzismo, abilismo, no vax e omotransfobia. Sono questi i contenuti che, se pubblicati sui social, rischiano di trasferire i problemi dal digitale al mondo reale e del lavoro.

La guerra dei like

Nella stessa ricerca si fa riferimento non solo ai post pubblicati, ma anche ai like e ai “cuoricini” con cui un utente esprime il proprio assenso a quanto pubblicato da un altro.

E gli italiani, in questo caso, sembrano i più sensibili. Ovviamente qui travalichiamo il concetto di lavoro ed entriamo in quello di percezione di un nostro contatto social. L’esempio utilizzato da Kaspersky è quello di like a contenuti che mostrano atti di crudeltà nei confronti degli animali. E nello Stivale tutto ciò è considerato molto grave, con il 60% degli intervistati che si è detto esser pronto a rivalutare – in negativo – l’idea di un “amico” social che esprime consenso nei confronti di tutto ciò. Senza scrivere nulla. Basta un like.

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