Come è nata e dove sta portando la protesta delle donne #mynameispeter su Linkedin

La protesta #mynameispeter su Linkedin nasce in Olanda e vuole evidenziare come ci siano più capi che si chiamano Peter rispetto alle donne alla guida di aziende

31/01/2022 di Ilaria Roncone

La protesta Peter su Linkedin è partita dall’Olanda e ha preso piede in breve anche in altri paesi, compresa l’Italia. La tesi su cui tutto si basa è la seguente: in Olanda ci sono più capi che si chiamano Peter che donne alla guida di aziende. A dare vita alla ribellione virtuale sono state Women Inc. (no profit per le pari opportunità nel lavoro) e BrandedU (agenzia di branding), realtà che si concentrano sull’empowerment femminile e che hanno realizzato che esistono più capi di nome Peter in Olanda che donne al vertice di un’azienda. Seppure Peter sia il terzo nome più comune in Olanda, non c’è ombra di dubbio sul fatto che essere donna lo sia molto di più. Vediamo la genesi della protesta e le varie reazioni nel mondo, Italia compresa.

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Donne e lavoro, come nasce la protesta Peter su Linkedin

Le promotrici della campagna hanno affermato a chiare lettere – come riportano molti dei post Linkedin che hanno diffuso le motivazioni di questa originale protesta – che in Olanda «le donne sono fortemente sottorappresentate nelle posizioni decisionali e quindi hanno molta meno influenza degli uomini». Si tratta di una «reazione a catena: quando più donne si spostano in posizioni decisionali, si creano modelli di ruolo che possono sostenere altre con ambizioni simili. Per un posto di lavoro inclusivo è importante che le persone si vedano in diversi livelli dell’organizzazione».

Come riporta I am Expat – piattaforma che fornisce info per gli expat nei Paesi Bassi – la ricerca della società specializzata nella raccolta di dati di genere Equilap ha reso noto come nel 2020 sulle 93 prime aziende olandesi prese in analisi ci fossero più capi di nome Peter – cinque in totale – che donne – il cui conto si fermava, per quell’anno, solo a quattro -. Da qui nasce l’idea della protesta (il cui hashtag originale è #MijnNaamIsPeter) con Women Inc. che ha spiegato: «Peter rappresenta una maggiore mancanza di diversità sul posto di lavoro, non solo in termini di genere, ma anche in termini di background ed età. E questa mancanza non è solo al vertice o solo nelle grandi aziende». Tra le donne che hanno scelto di partecipare all’iniziativa – solo in Olanda sono oltre cinquecento – c’è anche Yeliz Çiçek, caporedattrice di Vogue Nederland, che ha aderito entusiasta cambiando anche il suo nome su Twitter.

Come funziona la protesta delle donne su Linkedin

Nel corso dell’ultima settimana del primo mese del 2022 (24-28 gennaio) le donne che hanno scelto di aderire hanno cambiato il proprio nome sulla piattaforma per trovare lavoro più famosa al mondo. L’azione è simbolica di una protesta contro la sottorappresentazione delle donne in questo ambito. C’è chi ha sottolineato come la solidarietà dovrebbe arrivare anche e soprattutto dagli uomini, invitando a cambiare anche loro il nome per protesta: «Chiamatevi Petra. È importante che tutti partecipiamo a questa campagna – ha scritto Kira Haggenburg, della società di consulenza e gestione Arlande – C’è troppa strada da fare, dobbiamo farla insieme». In Italia, tra gli altri, si è schierato a favore Lean In Network Italy Rome (network di professioniste in vari ambiti che promuovono la parità di genere).

Alcune reazioni alla protesta indicano che di strada ce n’è ancora tanta

Tra coloro che si sono schierate c’è anche chi ha commentato la reazione alla partecipazione a un’iniziativa del genere, che non è stata sempre buona. Come si vede nel post appena sopra – che compare tra i più popolari su Linkedin aggregati tramite l’hashtag #mynameispeter – ci sono reazioni alla protesta che punta alla parità di genere sul lavoro tutt’altro che costruttive («mi hanno fatto sentire male allo stomaco»). La conclusione ampiamente dimostrata da parte dei ragionamenti e dai commenti alla faccenda? «Il sessismo sistemico, la discriminazione e i pregiudizi inconsci fanno sì che le donne vengano trascurate per la promozione a posizioni di alto livello e una mancanza di rappresentanza femminile nei ruoli decisionali».

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