Se violi il contratto, ti tolgo dai server: cos’è accaduto tra Amazon e Parler

Si è gridato alla censura, ma la questione è ben diversa e si parla di policy accettate fin dal 2018

12/01/2021 di Enzo Boldi

Il termine più abusato di questi primi giorni del 2021 è ‘censura’. Se ne è parlato (negli Stati Uniti e non solo) citando quanto accaduto agli account social di Donald Trump, di quel che è successo nel tardo pomeriggio di lunedì 11 gennaio al profilo Twitter di Libero quotidiano (ma la censura, come spiegato qui e qui non c’entra assolutamente nulla). Ovviamente non poteva mancare il capitolo del social sovranista che ha perduto l’utilizzo dei server ai quali si appoggiava (quelli di Aws) per alcuni fattori tecnici che nulla hanno a che vedere con la scure censoria. Proviamo a spiegare nel dettaglio cosa è accaduto nel caso Parler-Amazon.

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Come è ormai noto, il noto social sovranista – su cui si riunivano molti sostenitori di Trump (negli Stati Uniti) e tantissimi sostenitori della destra italiana (per rimanere in uno schema bi-polare) – non esiste più e, allo stato attuale delle cose, non ci dovrebbero essere ulteriori sorprese nelle prossime settimane. Parler, con un accordo siglato nel 2018, utilizzava Amazon come proprio servizio di hosting. In parole povere: per essere online, utilizzava (previo accordo) i server messi a disposizione (a pagamento) da AWS (Amazon Web Services).

Parler-Amazon, cosa dice il contratto stipulato

Il tutto, come detto, si è basato su un contratto standard che Amazon (come qualsiasi altra piattaforma che si occupa di distribuzione di contenuti attraverso internet) che ha delle regole ben precise. E non solo a livello tecnico, ma anche etico. E i contenuti di questo contratto si possono trovare proprio sul sito ufficiale di AWS. So tratta di regole che risalgono al 2016, quindi non modificate di recente, a cui ha aderito anche il CEO di Parler al momento della sottoscrizione dell’accordo per il servizio di hosting. Tra i punti fondamentali dell’accordo Parler-Amazon (cioè quelli contestati al social sovranista, che era stato già avvisato ben prima dell’11 gennaio delle violazioni riscontrate e della rescissione unilaterale del contratto) ci sono questi:

Non puoi utilizzare o incoraggiare, promuovere, facilitare o istruire altri a utilizzare i Servizi o il Sito AWS per qualsiasi uso illegale, dannoso, fraudolento, illecito o offensivo, o per trasmettere, archiviare, visualizzare, distribuire o rendere disponibile in altro modo contenuto che è illegale, dannoso, fraudolento, in violazione o offensivo. Le attività o i contenuti vietati includono:

  • Attività illegali, dannose o fraudolente. Qualsiasi attività illegale, che violi i diritti di altri o che possa essere dannosa per gli altri, le nostre operazioni o la nostra reputazione, inclusa la diffusione, la promozione o l’agevolazione della pornografia infantile, l’offerta o la diffusione di beni, servizi, programmi o promozioni fraudolenti schemi veloci, ponzi e schemi piramidali, phishing o pharming.
  • Contenuti in violazione. Contenuti che violano o si appropriano indebitamente della proprietà intellettuale o dei diritti di proprietà di altri.
  • Contenuti offensivi. Contenuti diffamatori, osceni, offensivi, invasivi della privacy o altrimenti discutibili, inclusi contenuti che costituiscono pornografia infantile, si riferiscono alla bestialità o raffigurano atti sessuali non consensuali.
  • Contenuti dannosi . Contenuti o altre tecnologie informatiche che possono danneggiare, interferire con, intercettare di nascosto o espropriare qualsiasi sistema, programma o dato, inclusi virus, cavalli di Troia, worm, bombe a orologeria o cancelbot.

Era tutto alla luce del sole, ma Parler non lo vedeva

Di oggi è la notizia della causa che Parler vuole intentare contro Amazon che, di fatto, non ha bannato o censurato in alcun modo il social sovranista, ma ha utilizzato i termini dell’accordo stipulato nel 2018 che prevedeva norme etiche da seguire. Essendo Amazon un’azienda privata (proprietaria di AWS), è suo il diritto all’auto-tutela: come prevede il contratto, infatti, le diverse aziende che utilizzando in servizi web del colosso di Bezos sono tenute a rispettare regole non solo di comportamento, ma anche di controllo di ciò che viene pubblicato.

Tutti gli errori di Parler

Insomma, la questione Parler-Amazon non ha nulla a che vedere con la censura. Sul social compianto dai sovranisti, infatti, emergevano messaggi di odio e incitamento alla violenza. Ultimo, fra i tanti, quel video che annunciava una nuova mobilitazione in stile Capitol Hill nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca del nuovo Presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden. Contenuti che dovevano essere controllati da Parler e rimossi: sia per il buon senso, sia perché l’accordo per l’utilizzo dei server Amazon prevedevano proprio questo. Parlare di censura per gettare fumo negli occhi è molto vittimistico, soprattutto quando le evidenze sono pubbliche. Come in questo caso.

(foto di copertina: IPP/zumapress)

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