Nei giorni scorsi, Papa Francesco ha ricevuto il premio “È Giornalismo” per aver utilizzato «il dialogo per dire parole di pace, un segnale importante per le nuove generazioni e per tutto il mondo dell’informazione in generale». Di fatto, il Pontefice è stato ritenuto meritevole di un riconoscimento come “baluardo” del giornalismo contro la disinformazione. La giuria, composta da personalità di spicco del mondo dell’informazione (da Giulio Anselmi a Mario Calabresi passando per Massimo Gramellini, Paolo Mieli, Gianni Riotta e Gian Antonio Stella) ha, dunque, dato un chiaro segnale sullo stato di salute del giornalismo in Italia.
Ricevendo questo premio, Bergoglio ha messo in evidenza i quattro peccati dell’informazione italiana: calunnia e diffamazione sono solo due aspetti, ma l’attenzione del suo messaggio si è spostato su disinformazione e coprofilia. Perché gli organi di stampa (in qualsiasi forma), sempre più spesso si dimenticano le stelle polari da seguire, preferendo la “velocità” al controllo delle fonti. A tutto ciò si aggiunge quella “perversione macabra” della ricerca e pubblicazione di dettagli su vittime e carnefici di fatti di cronaca nera. Tutto ciò va oltre i princìpi deontologici della professione.
Disinformazione, quindi fake news. Il Pontefice è stato spesso vittima di interpretazioni fallaci dei suoi pensieri e di notizie (anche sul suo stato di salute) che non corrispondevano alla realtà. Il lavoro della Sala Stampa Vaticana ha tentato (e lo fa ancora) di mitigare queste non-notizie, ma l’amplificazione dei social network – utilizzati anche dal Pontefice per opere di evangelizzazione sul tema – sovrasta sempre di più le fonti accreditate e credibili.