«Facciamogli vedere come ai tempi delle BR»: i no pass su Telegram e le minacce al sindaco di Trieste
Così la risposta al sindaco Roberto Dipiazza nell'ormai noto gruppo Basta dittatura - Proteste
10/11/2021 di Redazione
Nuovo caso di esposizione dei dati personali – con conseguenti minacce – in una chat di Telegram. Si tratta dell’ormai famigerata Basta Dittatura – Proteste, lo spin-off del canale Basta Dittatura originale, che era stato chiuso in seguito a una indagine della procura di Torino per una motivazione analoga, ovvero la diffusione di dati personali di terzi non autorizzata, con istigazione a commettere dei reati nei loro confronti. Le indagini stanno ancora andando avanti per quanto riguarda quel filone, ma ricordiamo tutti quanto è stato difficile far collaborare Telegram per far sì che il gruppo potesse essere effettivamente chiuso e sequestrato. Tuttavia, ciò non ha impedito il proliferare di altri gruppi satellite che – a quanto pare – utilizzano gli stessi metodi della “casa madre”. Così i no green pass Trieste hanno diffuso nel canale in questione i dati del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, con tanto di numeri di telefono e indirizzo della sua segreteria. Il tutto condito con un messaggio inquietante.
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No green pass Trieste e il paragone con le BR
Nel contesto delle proteste dei manifestanti no-green pass (che ha provocato anche una reazione del Viminale che sta per mettere uno stop ai cortei, autorizzando soltanto dei sit-in statici con la mascherina), il sindaco Roberto Dipiazza aveva invocato leggi speciali come ai tempi delle Brigate Rosse. Una palese esagerazione e una conseguente provocazione che, a quanto pare, è stata accolta al rialzo dal gruppo dei no-green pass. Dopo la citazione delle parole del primo cittadino di Trieste, infatti, su Telegram è comparso questo messaggio: «TUTTI A CASA DELLA MERDA CRIMINALE! FACCIAMOGLI VEDERE COME SI FACEVA AI TEMPI DELLE BR: SCRIVETE NEI COMMENTI INDIRIZZO E NUMERI DI TELEFONO! ROBERTO DIPIAZZA, Sindaco di Trieste».
Ovviamente, è stato postato il suo profilo Facebook (sul quale sono comparsi i primi commenti minatori) e sono stati divulgati anche altri dati, esattamente come era accaduto per la procura di Torino in passato. Un comportamento reiterato che dimostra come la sospensione di un solo canale una tantum non sia una soluzione efficace per arginare un fenomeno che, almeno a parole, si è dimostrato invadente e molto violento.