Musk ha accusato Zuckerberg di «manipolare il pubblico quasi ovunque nel mondo»
Elon Musk non poteva certo lasciarsi sfuggire l'occasione di diffondere l'inchiesta che getta ombre sul modo in cui Facebook gestisce il suo sistema di fact checking
24/08/2023 di Ilaria Roncone
Un’opportunità troppo grande per non coglierla, ovviamente. Considerato quello che sembrerebbe emergere dall’inchiesta Fact Check Files di Facebook operata da Sky News Australia – dove il dibattito politico attorno al prossimo referendum sui diritti degli aborigeni da inserire nella Costituzione è molto acceso -, Elon Musk ha rilanciato immediatamente il lavoro giornalistico affermando che «Facebook sta manipolando il pubblico praticamente ovunque nel mondo», sfruttando l’assist per chiarire – all’interno di un rapporto già fatto di parecchie controversie, si veda la questione della lotta nel Colosseo – l’opinione di Musk su Zuckerberg.
Facebook is manipulating the public almost everywhere on Earth.
That is why they won’t open source their algorithm. https://t.co/iO0PUO1joF
— Elon Musk (@elonmusk) August 23, 2023
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Musk su Zuckerberg: «Ecco perché non renderanno open source l’algoritmo»
Il sistema di fact checking di Facebook, in sostanza, è sotto accusa per non essere conforme alle sue stesse regole di totale imparzialità e non intervento nei dibattiti politici dei vari Paesi. Ci sarebbero alcuni fact checker pagati da Facebook che prenderebbero di mira, in maniera indisturbata, le opinioni di chi è contrario al riconoscimento dei diritti degli aborigeni e al conseguente inserimento di quelle opinioni all’interno del dibattito che si crea sulla piattaforma.
La verifica costante, in sostanza, avverrebbe solo per le voci contro e non per quelle pro. Jack Houghton, giornalista a capo dell’inchiesta, ha fatto una serie di affermazioni su come il sistema di fact checking di Facebook non funzionerebbe, internamente, come la società afferma esternamente: «C’è una società americana che sta inviando pagamenti da una filiale irlandese ad accademici che, a mio avviso, sono più che altro attivisti – uno di loro ha effettivamente twittato che Peter Dutton era un razzista che incitava alla paura. Queste persone non sono obiettive e vengono pagate appositamente per influenzare il dibattito nazionale. In questo caso, probabilmente sta funzionando un po’ e il referendum probabilmente è stato influenzato».
Una situazione complicata che deve essere indagata
Da un lato abbiamo le accuse di una testata che ha analizzato i fatti accaduti nel suo Paese, dall’altro un Facebook che non sembrerebbe riuscire a fornire delle spiegazioni dettagliate o quantomeno sufficienti in seguito a quanto scoperto dal giornale. La questione deve senza dubbio essere approfondita a partire dal fatto che il dibattito su un referendum del genere dia luogo, inevitabilmente, a opinioni che possono essere controverse. Ciò non toglie che – a meno che non si facciano affermazioni false, di cui la diffusione deve essere depotenziata come da regolamento – Facebook debba permettere la diffusione di qualsiasi opinione sfruttando, magari, l’etichetta che indica una mancanza di contesto nel contenuto.
Volendo poi tornare a Elon Musk, è giusto diffondere i risultati di questa inchiesta ma – prima che emergano altri elementi e che le cose vengano chiarite – occorrerebbe essere più prudenti, vista la sua posizione, nel fare affermazioni come quella che ha diffuso a brevissima distanza dall’uscita della lunghissima inchiesta.