Il regolamento Agcom «è una modalità errata con cui l’Italia ha recepito la direttiva sul copyright»

Marco Scialdone, docente dell'Università europea di Roma e legale di Euroconsumers, ha parlato con Giornalettismo delle novità che apporterà il regolamento dell'Agcom al mondo dell'editoria

20/01/2023 di Redazione Giornalettismo

Da tempo oggetto di domande aperte rispetto al suo reale atterraggio, il regolamento Agcom è stato approvato definitivamente nelle ultime ore. Non abbiamo ancora a disposizione il testo integrale, ma ci sono sicuramente degli elementi in più che si possono evincere sulla base delle comunicazioni effettuate dall’Autorità. Partendo da queste informazioni in più, Giornalettismo ha provato a consultare uno dei punti di vista più originali sulla questione, quello di Marco Scialdone, docente dell’Università Europea di Roma e legale di Euroconsumers. Il presupposto di partenza è che, nel modo in cui è stato pensato, il regolamento dell’Agcom non sembra andare nella direzione intrapresa da altri Paesi europei. E che, ancora una volta, l’Italia rischia di rappresentare un unicum. Con tutte le conseguenze del caso.

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Marco Scialdone e i punti deboli del regolamento Agcom

In primo luogo, abbiamo provato a parlare con l’avvocato Scialdone del principio del numero dei click come criterio fondamentale per la determinazione dell’equo compenso. Da questo punto di vista, l’Agcom ha avuto praticamente le mani legate. «Il tema di fondo è che alcuni di questi criteri sono già previsti dalla normativa europea sul copyright, dunque l’Agcom non ha potuto fare molto da questo punto di vista – ha spiegato Scialdone -. Quello del numero di visualizzazioni dell’articolo sicuramente rientra in una di queste fattispecie previste dal 43-bis. Certo, c’è il rischio che si premi il clickbait: se il maggior numero di click determina un impatto sull’equo compenso, si tenderà a produrre contenuti che siano più appetibili per il lettore. È vero che questo viene mitigato dall’impostazione complessiva della direttiva e del conseguente regolamento. I criteri non sono elencati in ordine di priorità o di gerarchia: sono semplicemente elementi da prendere in considerazione dall’autorità nel momento in cui le parti non riescono a trovare un accordo sull’equo compenso».

Ma come si farà a stabilire quali sono le metriche esatte delle revenues pubblicitarie che le grandi aziende di Big Tech ottengono a partire dalla condivisione di contenuti editoriali e quali sono, invece, i dati di reindirizzamento sui siti degli editori. Da questo punto di vista, manca un organo certificatore che possa garantire la trasparenza di questo dato. Il regolamento, del resto, cerca di ovviare a questo problema, attribuendo molti poteri – anche di natura sanzionatoria – all’autorità. «L’Agcom – continua Scialdone – può ordinare al prestatore di servizi di fornire una serie di informazioni rispetto al traffico di reindirizzamento, con la possibilità di elevare sanzioni quando questi dati non siano forniti o siano forniti in maniera erronea. Il meccanismo è simile a quello con cui funzionano anche le altre autorità, penso all’Agcm sulle pratiche commerciali scorrette. È vero che non ci sono precedenti rispetto a corrette quantificazioni di questo tipo da parte delle Big Tech, ma vorrei far notare che l’intero procedimento è nuovo. Questi dati esistono e si possono richiedere e fornire. Il tema vero è che è proprio sbagliata la modalità con cui l’Italia ha recepito un diritto di esclusiva che viene trasformato in diritto a compenso. Il diritto sarebbe dovuto rimanere all’interno di una trattativa privata, senza l’intervento di un’autorità pubblica. Nessun altro Paese lo ha attuato come l’ha attuata l’Italia: l’Agcom si troverà a gestire delle problematiche non per colpa sua, ma per chi l’ha messa nelle condizioni di fare un lavoro che non avrebbe dovuto fare».

Ed è evidente che, con una impostazione del genere, ad avvantaggiarsi saranno sempre le grandi concentrazioni editoriali, a discapito della piccola e della media editoria che, nelle intenzioni, un regolamento di questo tipo aveva l’ambizione di tutelare. «Il regolamento sull’equo compenso continuerà ad avvantaggiare il grande editore; al contrario, piccoli e medi editori avranno ben pochi benefici – conclude l’avvocato Marco Scialdone -. Questo si evince in maniera evidente dai criteri che l’autorità dovrebbe prendere in considerazione per la determinazione dell’equo compenso: quello che può spostare in alto la compensazione del value gap è costituito da elementi che avvantaggiano l’editoria più consolidata sul mercato e tradizionale, con un numero di giornalisti maggiore e un maggior numero di investimenti tecnologici. Non è una cosa totalmente insensata: se il principio è colmare il value gap, più grande è il soggetto e più grande è il value gap. La verità, però, è che i soldi andranno sempre alle stesse testate».

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