«Il regolamento AgCom è un patto per arrivare a un’informazione di qualità», l’intervista ad Andrea Santagata

Abbiamo parlato con il direttore generale di Mondadori Media all'indomani della notizia del via libera dell'Autorità Garante sull'equo compenso online per gli editori

20/01/2023 di Enzo Boldi

In attesa del documento ufficiale, con le linee guida, è ufficiale il via libera dell’AgCom al regolamento sull’equo compenso online. Anzi, per utilizzare una formula più corretta, sull’equa distribuzione «del valore generato dallo sfruttamento sulla rete di una “pubblicazione di carattere giornalistico” tra gli editori (titolari dei diritti) e le piattaforme che veicolano questi contenuti online». Si tratta, di fatto, del recepimento della direttiva UE sul Copyright, già arrivata in Italia con il decreto legislativo 177 del 2031. Ieri l’Autorità Garante per le Comunicazioni ha ufficializzato la sua posizione, ma sono ancora tanti gli interrogativi sul tema.

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Al netto degli aspetti tecnici legati alle cifre massime e i criteri su cui si snoderanno le trattative tra le varie piattaforme sui cui vengono condivisi contenuti di carattere giornalistico, appare evidente un dettaglio: l’entrata in vigore di questo tipo di regolamento rappresenta un passo un avanti importante. Ce lo ha spiegato Andrea Santagata, direttore generale di Mondadori Media, che ai microfoni di Giornalettismo ha voluto sottolineare il lato positivo di questa decisione. Ma con un rammarico: «I criteri mi sembrano corretti, anche se dovremmo capire la forma pratica di messa in opera. Sicuramente è un passo in avanti, anche se potremmo etichettarla come una “sconfitta”. Il motivo è semplice: si è arrivati a dover regolamentare il tutto a 20 anni dalla nascita della rete attraverso vie formali».

Equo compenso online, l’intervista ad Andrea Santagata

Il sistema non è stato in grado di auto-regolamentarsi nel corso degli anni. Venti anni in cui si è passati dal sogno utopico di una rete differente rispetto a quella attuale alla realtà dei fatti che conosciamo bene. E gli spunti che ci ha fornito Andrea Santagata partono proprio dal ruolo di Google (un esempio come tanti, ma il più noto): «Io ricordo ancora il motto di Google “Don’t be evil“. Ovviamente non sto dicendo che Google sia “evil“, ma qualcosa non è andata nella direzione di quel motto. Sicuramente la dinamica Borsa-denaro ha prevalso su una prima rete, molto più utopistica. Si è arrivati ad avere uno squilibrio eccessivo, quindi è stata necessario procedere con una normativa».

L’azienda (ma soprattutto il prodotto principe) di Mountain View è l’esempio più semplice da citare: tutti (o quasi) lo utilizzano e tutte le testate vi fanno riferimento per la condivisione online dei propri contenuti giornalistici (attraverso l’indicizzazione e il linguaggio SEO). Ed è per questo che, secondo Santagata, il regolamento AgCom approvato può rappresentare un grande passo in avanti: «Nel mio ragionamento parto da un assunto: perché si è dovuti arrivare fino a questo punto? Prenderò come esempio Google solo perché è il più conosciuto. Google era nato come un motore di ricerca per aiutare gli utenti a trovare quel che cercano nel labirinto della miriade di contenuti presenti in rete. Con il passare del tempo è diventato un motore di risposta: io (Google) capisco dai contenuti in rete come ti posso rispondere senza che tu proceda (a volte) verso il contenuto che c’è alle spalle. E questa, per certi versi, è già una violazione del patto».

Google e i suoi fratelli

L’esempio è molto tangibile e lo viviamo ogni giorno che navighiamo in rete, ma c’è anche altro: «Quando è nato AMP (Accelerated Mobile Pages), Google diceva di non voler accettare quella quantità ingente di pubblicità all’interno dei siti web. Ora, però, se un utente prova a effettuare una ricerca, la prima cosa che vede è sono gli spazi sponsorizzati. E la tendenza è quella a mantenere l’utente sempre più all’interno dell’ecosistema di Google (come i video di YouTube). Non puoi giocare a essere colui che decide dove mandare il traffico e mandare il traffico verso se stesso. Poi, spesso, invia il traffico in siti in cui spesso ci si potrebbe chiedere il perché ci si sia finiti dentro (e si scopre che gran parte della pubblicità su quei siti è gestita da Google)». Per questo motivo l’equo compenso online per gli editori è un grande passo in avanti.

Il direttore generale di Mondadori Media, infatti, ci ha spiegato come i criteri (anche economici) inseriti all’interno del regolamento siano una base di gran lunga superiore rispetto alla situazione precedente. Perché si partiva da zero: gli editori, di fatto, non guadagnavano nulla in più dalle condivisioni sulle piattaforme social o sugli aggregatori di notizie. Adesso, invece, qualcosa cambierà: «Si  arriverà a un riequilibrio. Lo dicono gli economics. Non è possibile che chi produce un contenuto sia in difficoltà (economiche) nel produrre un contenuto. Non è possibile, al tempo stesso, che chi lo distribuisce abbia quel genere di margine di guadagno. Ci si è spinti troppo oltre. Quando un sistema è squilibrato e una parte della filiera non sta più in piedi, se la qualità dell’informazione continua a calare, se ciò che organizzi è di qualità più scadente, è tutto il media a diventare più scadente». Quindi, un accordo basato su quei criteri favorirà anche Google.

Anche perché, tra i requisiti richiesti da AgCom, ce ne sono due fondamentali per ristabilire quei princìpi alla base del giornalismo che, invece, si sono persi alla rincorsa delle dinamiche della rete: l’adesione e la conformità, dell’editore e del prestatore, ai codici di autoregolamentazione (ivi inclusi i codici deontologici dei giornalisti) e il rispetto degli standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking. Andrea Santagata ha concluso il suo ragionamento proprio citando un esempio abbastanza noto a tutti: «Facebook è andato alla rincorsa degli articoli acchiappa-like che hanno un effetto (e un valore) istantaneo. Poi, però, arriva la disaffezione verso uno strumento che ha una qualità sempre più bassa. Le persone hanno bisogno di contenuti di qualità e quel che è successo a Facebook può succedere anche a Google se non si corregge il timone».

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