Quali sono le prospettive a livello normativo per una definizione comunitaria di agricoltura digitale

Al momento, in Italia, si parte da un decreto ministeriale del Mipaaf che, però, parla di agricoltura di precisione

10/03/2023 di Redazione

L’aspetto che sicuramente viene considerato maggiormente quando si parla di agricoltura digitale è quello dell’assenza di un dizionario comune che possa, in qualche modo, uniformarla e – di conseguenza – metterla a disposizione di tutti gli operatori e gli imprenditori agricoli. Di questo, hanno parlato anche Cristiano Spadoni e Ivano Valmori, autori del libro Agricoltura digitale: si tratta di uno degli obiettivi della loro attività di divulgazione: «Dobbiamo entrare nell’ottica di creare delle soluzioni che parlino tra di loro, un dizionario comune – hanno detto in un’intervista a Giornalettismo -. Finché questa cosa manca, difficilmente si riuscirà ad ottenere l’obiettivo fondamentale dell’agricoltura digitale, ovvero l’interoperatività. L’agricoltore digitante che mette dati in tanti posti diversi, deve diventare digitale e mettere i dati in un sistema che possa essere visto da tutti gli altri. Noi abbiamo il grosso vantaggio di lavorare nel Paese in cui c’è la maggiore biodiversità al mondo: creando piattaforme per queste 350 specie, automaticamente siamo in grado di gestire informazioni per la maggior parte delle specie che si coltivano in giro per il mondo».

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Le leggi sull’agricoltura digitale

Si tratta di un passaggio importante, anche perché è fondamentale chiarire che l’agricoltura digitale non può essere ridotta al semplice utilizzo di hardware. «I macchinari connessi sono la categoria più utilizzata – ci spiegano gli autori di Agricoltura digitale parlando delle modalità più utilizzate dagli imprenditori del nostro Paese -: la mietitrebbia che può trasferire al centro aziendale gli indicatori qualitativi del raccolto o la seminatrice che trasferisce dati su quanto seme è stato distribuito. Poi, ci sono i sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature; seguono i sistemi gestionali per l’agricoltura. Poi ci sono i sistemi di monitoraggio da remoto delle coltivazioni, i DSS che supportano le decisioni dell’agricoltore e sono basati sugli algoritmi, i sistemi di mappatura delle colture da satellite o da drone e, infine, tutto ciò che è legato alla robotica».

Se le tecnologie sono avanzate, tuttavia, l’atavico problema delle norme italiane rispetto al progresso digitale resta uno snodo. Al momento, dal punto di vista normativo, siamo fermi al 22 dicembre 2017, con la pubblicazione di un decreto ministeriale delle Politiche Agricole che definisce l’Agricoltura di Precisione come «il risultato di un processo di sistema integrato, che ha l’obiettivo di ricondurre certi parametri di ingresso, relativi ad una certa coltivazione, verso determinati valori in uscita (tipicamente valori di resa produttiva e di qualità)».

La risposta della commissione europea

Non è ancora definito, tuttavia, un quadro più complesso, che dovrebbe prendere in considerazione l’evoluzione e il progresso tecnologico che, nel frattempo, hanno accompagnato la crescita del settore. Nell’Unione Europea ci si poneva il problema sulla mancanza di fondi per l’agricoltura 4.0 e sull’età degli impiegati nel settore, non sempre compliant rispetto all’evoluzione tecnologica. L’ultima risposta della Commissione Europea, nel 2021, attraverso le parole del commissario Janusz Wojciechowski, è stata quella di far riferimento alla PAC e a Orizzonte 2020, per «promuovere lo sviluppo di soluzioni digitali efficienti in termini di costi per gli agricoltori, modelli aziendali e progetti dimostrativi con oltre 200 milioni di euro». Una cifra che, tuttavia, non può essere ritenuta sufficiente per un comparto che avrebbe bisogno di essere rinnovato dalle fondamenta per garantire non solo una maggiore efficienza produttiva, ma soprattutto una maggiore consapevolezza del prodotto nel consumatore.

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