Lo sguardo di chi è dentro il processo di digitalizzazione dell’agricoltura

Cristiano Spadoni e Ivano Valmori sono gli autori del libro aumentato "Agricoltura digitale", la vera guida introduttiva a un mondo variegato, che ha bisogno di trovare la sua interoperabilità

10/03/2023 di Gianmichele Laino

Nella progressiva digitalizzazione della società, non si può affatto non prendere in considerazione il tema delle evoluzioni che riguardano la filiera agricola. Da qualche tempo si parla con sempre maggiore cognizione di causa di agricoltura digitale: si tratta di un processo complesso, non certo inquadrabile nel semplice utilizzo di hardware, che ha invece nell’importanza del dato il suo punto cardine. Cristiano Spadoni e Ivano Valmori sono gli autori del volume Agricoltura digitaleun vero e proprio libro aumentato (che si serve anche di QR Code e di hashtag per l’approfondimento e per la divulgazione sui social network) che prende in considerazione tutti gli aspetti del fenomeno, basandosi su una consolidata attività di analisi dei dati dell’Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell’Università di Brescia e sull’esperienza dettata dalla realizzazione, all’interno della realtà di Image Line, del software Quaderno di Campagna, un gestionale specifico per l’azienda agricola.

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Un libro sull’agricoltura digitale, l’intervista agli autori

«Per agricoltura digitale si intende in effetti proprio tutto ciò che è tecnologia che consente di gestire numeri e dati relativi all’agricoltura – spiega a Giornalettismo Cristiano Spadoni -. Comprende anche tutto quello che è l’approccio all’agricoltura in questo nuovo modo di gestire le operazioni colturali. Dal punto di vista della tecnologia, l’agricoltura digitale spazia dai droni alla robotica, fino agli algoritmi di intelligenza artificiale. Il focus importante, però, è sull’analisi dei dati agricoli ed è per questo che parliamo di agricoltura 4.0: una cognizione di causa su quello che sono i dati agricoli e su quella che è la loro corretta gestione».

Agricoltura digitale
La copertina del libro Agricoltura digitale, di Cristiano Spadoni e Ivano Valmori

Parlare, oggi, di agricoltura digitale può essere un’arma a doppio taglio se non si parte dai giusti presupposti. Ivano Valmori spiega quali sono i cinque principi cardine per la definizione dell’agricoltura digitale e per cercare di perimetrare tutte le azioni che l’imprenditore agricolo deve prendere in considerazione quando vuole ottenere e vuole fornire informazioni legate ai suoi prodotti. Ma una premessa è fondamentale: «Nell’immaginario collettivo esiste l’agricoltore, ma nella realtà non è paragonabile il produttore di riso nella Lomellina con il produttore di olive in Puglia o di fagiolini nella piana del Sele. Noi abbiamo individuato 350 tipi di agricoltori e questo già determina una certa difficoltà nella produzione dei dati. L’altra considerazione è che fare agricoltura digitale incide su uno dei bisogni fondamentali dell’umanità che è quella di nutrirsi: quando mangiamo, facciamo un atto agricolo. Il consumatore più evoluto vorrebbe sapere cosa mangia ed è qui che interviene l’agricoltura digitale».

I cinque momenti dell’agricoltura digitale

Da qui, la spiegazione dei cinque momenti che rendono un produttore un agricoltore digitale: «Il dato è fondamentale in campo: perché l’agricoltore deve conoscere esattamente come stanno andando le cose sul suo terreno, attraverso droni, attraverso i satelliti – ha spiegato Valmori -. L’azienda agricola vive fuori e il fatto di conoscere esattamente come sta andando diventa una componente fondamentale per produrre bene. L’agricoltura digitale, poi, permette all’agricoltore di decidere, sulla base di mille variabili in gioco: la decisione spetta sempre all’individuo, ma viene orientata sempre di più da quelli che definiamo DSS, Decision Support System, sistemi informatici che prendono una marea di informazioni e dati da fonti diverse e permettono all’agricoltore di decidere meglio. Il terzo aspetto è quello del fare: la produzione è subordinata a una marea di normative e disciplinari. L’informatica e il digitale possono fornire tutti i dati che permettono all’agricoltore di non sbagliare nel fare. La quarta fase, poi, è quella legale. L’azienda agricola non si deve limitare a rispettare la legge, ma anche a certificare quello che sta facendo: si parla sempre di più di “quaderno di campagna”. L’ultima fase è quella del raccontare: raccogliere i dati e trasmetterli al consumatore diventa fondamentale, soprattutto in questo momento storico. Senza la digitalizzazione quest’ultima operazione risulta essere estremamente complessa, ma è la base della sicurezza alimentare».

Il volume, un manuale imprescindibile per conoscere la materia, si concentra proprio sul dato e sulla sua trasmissione: «Ci siamo soffermati – ha proseguito Spadoni – sull’aspetto della produzione agricola. I dati devono vivere nella filiera agricola: sarebbe importante che l’agricoltore o la cooperativa a cui appartiene possa seguire il prodotto fino al prodotto finale. L’agricoltura digitale prevede sicuramente tutta quella tecnologia, dai gestionali alla blockchain, che trasporta il dato dal campo al consumatore finale».

La base statistica raccolta dall’Osservatorio citato a inizio articolo e il continuo aggiornamento delle realtà che impiegano questi metodi di gestione della propria azienda agricola individua correttamente quanti sono gli imprenditori che fanno ricorso all’agricoltura digitale. E i dati sfatano il mito di un Paese tradizionalista: «Oggi, in Italia più di un milione di ettari su 12 milioni coltivati complessivamente gestiscono informazioni attraverso il Quaderno di campagna. Siamo nell’ordine del 7% delle aziende agricole che hanno strumenti digitali per raccogliere i dati. Dobbiamo capire che non esiste una sola soluzione di agricoltura digitale: in media, l’Osservatorio dice che chi la applica fa uso di almeno quattro soluzioni di questo tipo. Oggi, però, manca uno standard di agricoltura digitale per cui, in sostanza, sono tanti i sistemi che vengono utilizzati e che non dialogano tra di loro».

Ed è questo il vero problema, che abbiamo provato a specificare all’interno di un altro articolo del nostro numero monografico.

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