Com’è essere genitori e lavorare sui social ai tempi dello sharenting? L’intervista a La tenda in salotto

La tenda in salotto nasce come blog da un'idea di Gaia Rota e Michele Cattaneo. Dalla loro esperienza professionale e genitoriale adesso è nata anche un'associazione che ha l'obiettivo di ideare e realizzare progetti educativi per la salute e il benessere digitale rivolti ai ragazzi

09/03/2023 di Giordana Battisti

Gaia Rota e Michele Cattaneo hanno dato vita insieme al progetto La tenda in salotto, nato come un blog e che ora ha una presenza principalmente sui social. Il loro account su Instagram conta poco più di 94mila follower e la coppia lo utilizza per raccontare alcuni aspetti della propria esperienza genitoriale e della propria vita quotidiana con tre figlie e un figlio ma anche per proporre alla propria community delle riflessioni su temi di attualità o che reputano rilevanti. Nel 2019 Rota e Cattaneo hanno pubblicato un libro, La nostra famiglia ribelle. Giornalettismo li ha contattati per chiedere loro che tipo di scelte stessero facendo nell’ambito dell’educazione digitale dei loro figli ma anche per parlare di sovraesposizione mediatica.

Una frase citata da Gianluigi Bonanomi nel video di presentazione del suo libro Sharenting è Share with care, cioè “condividi facendo attenzione”. Il tema dello sharenting, cioè la tendenza che si è affermata nel corso degli ultimi anni per cui i genitori pubblicano sui propri sui account social foto e video in cui compaiono i propri figli richiede delle riflessioni complesse e La tenda in salotto ha proposto una chiave di lettura del tema alla propria community.

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La tenda in salotto e la riflessione di due genitori sul tema dell’“identità digitale” della propria figlia

«Ci siamo resi conto della rilevanza del problema strada facendo. Il progetto La tenda in salotto è nato come un blog dedicato alla nostra famiglia, l’idea era quella di creare una sorta di “diario” che potessero leggere tutti e da lasciare alle nostre figlie e a nostro figlio, ma non avevamo intenzione di farlo diventare un prodotto commerciale né di diventare dei personaggi noti. Quando abbiamo iniziato a ottenere sempre più seguito e a collaborare con i brand, ma soprattutto quando ci siamo resi conto che la nostra figlia più grande stesse ormai diventando grande, abbiamo capito che la stavamo descrivendo dal nostro punto di vista, che è quello del genitore». La riflessione su quanto collaborare con dei brand coinvolgendo tutta la famiglia, quindi anche i bambini, fosse corretto è arrivata dopo spiega Rota: «La nostra riflessione ha riguardato prima l’identità digitale di nostra figlia e abbiamo tralasciato l’aspetto commerciale della questione». Si tratta di una riflessione che La tenda in salotto ha condiviso anche con la propria community pubblicando alcuni contenuti riguardanti l’argomento su Instagram e creando una sorta di dialogo con le persone che li seguono.

 

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Dopo queste riflessioni i genitori di Lavinia, la figlia più grande della coppia che ha dieci anni e mezzo, hanno deciso di smettere di pubblicare sui propri account sui social contenuti come foto o video in cui la bambina si vedesse chiaramente, per esempio in viso, oppure in cui fosse riconoscibile. Queste riflessioni si sono sviluppate di pari passo a uno sguardo più critico di Rota e Cattaneo nei confronti di quello che vedevano sui social, tra cui anche il “caso” del negozio di abbigliamento per bambini e preadolescenti Monelli Kids, che è diventato molto noto su TikTok e in cui è coinvolta una ragazza di 12 anni che compare molto spesso nei video pubblicati sugli account social del negozio. Rota spiega che il comportamento particolarmente problematico è quello degli adulti che gestiscono il negozio che grazie ai contenuti che pubblicano sui social hanno un ritorno sia economico sia di immagine. Secondo Cattaneo, inoltre, spesso quando si parla di temi come la sovraesposizione mediatica dei minori ci si concentra molto sul tema del consenso, ma ridurre il problema alla sola questione del consenso significherebbe banalizzare e rinunciare ad approfondire altri aspetti correlati all’argomento: «Sono tante le scelte che i genitori fanno senza il consenso dei figli, quindi non è tanto il consenso il problema ma la mancanza di una riflessione più approfondita da parte degli adulti su come questi contenuti possano incidere sulla vita futura di un bambino o di un ragazzo, in questo caso di Ludovica. Bisognerebbe anche interrogarsi su come vengono mostrati i bambini o su cosa ha spinto i genitori a fare una certa scelta, non solo sulla decisione di mostrarli o meno. È complesso anche perché siamo la prima generazione di genitori che deve affrontare questo problema».

A partire dall’anno scorso Rota e Cattaneo sono stati invitati in alcune scuole secondarie di primo grado dove hanno parlato agli studenti di identità digitale, dell’utilizzo dei social network e dei rischi della rete: «Quello che abbiamo notato è che i ragazzi sono molto più consapevoli dei genitori riguardo ai rischi e alle possibilità di Internet». Questa esperienza professionale, unita a quella personale di genitori, ha spinto Rota e Cattaneo a fondare l’associazione Incontrario con lo scopo di ideare e realizzare progetti educativi per la salute e il benessere digitale da svolgere principalmente nelle scuole. «Le paure dei genitori, tra l’altro, sono anche molto diverse da quelle dei ragazzi e lo abbiamo constatato confrontandoci con la nostra community: i genitori parlano di pedopornografia, pornografia, di adescamento mentre i giovani sono consapevoli di rischi legati alla tutela della propria identità digitale o alla dipendenza da smartphone e da strumenti digitali. Noi vogliamo intervenire educando a un corretto utilizzo del mezzo per alleviare le paure dei più giovani che sono molto più reali rispetto a quelle degli adulti, più astratte».

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