L’azienda londinese che non esiste ma ha assunto lavoratori in smart working

Quella della falsa azienda che ha dato un lavoro fake ad alcuni fino anche a sei mesi ha dell'incredibile e ci ricorda il devastante potere di internet

23/02/2022 di Ilaria Roncone

Tanti ricorderanno il celebre programma Catfish, quello in cui gli individui si trovavano a chattare per mesi o anche anni con persone conosciute online che poi – vedendosi di persona dopo tanto tempo – non erano quelle per le quali si spacciavano o non esistevano proprio così come si erano fatte conoscere. Nella realtà pandemica tutti ci siamo abituati allo smart working o alle forme ibride di lavoro, per cui non è strano – cercando un nuovo impiego – trovare situazioni nelle quali viene richiesto il lavoro da remoto in toto. Un’esperienza accaduta a una serie di lavoratori che, facendosi assumere per la falsa azienda che prevedeva il lavoro remoto per tutto il tempo, hanno finito per lavorare per una società di design londinese che non è mai esistita. Ed è subito jobfished.

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Madbird, la falsa azienda che assume lavoratori in smart working

L’episodio è stato raccontato in un documentario dal titolo “Jobfished” realizzato da BBC. La storia, che viene raccontata anche attraverso le voci di alcuni dei lavoratori che sono stati ingannati, ha dell’incredibile. Sono dozzine i giovani che sono stati ingannati e spinti a pensare di stare lavorando per un’agenzia di design inglese che non è mai esistita. Come è possibile farsi ingannare e arrivare a lavorare anche fino a sei mesi per un posto che non esiste?

Tutto era architettato nei minimi dettagli: ogni nuovo arrivato veniva introdotto a quelli che credeva essere i suoi colleghi tramite strumenti che tutti utilizziamo agevolmente ormai, dalla mail a Zoom. La Madbird reclutava persone online proponendo loro di lavorare per una serie di progetti legati a brand grossi. Tra le persone facenti parte del team, almeno sei erano fake. Nel documentario si parla di uno dei graphic designer la cui foto profilo è stata presa da Getty Images digitando “Ginger Man”.

Un’esperienza che, comprensibilmente, ha sconvolto tutte le persone che sono finite in trappola: da chi si occupava di risorse umane e reclutava lavoratori per un’azienda che non esiste a chi credeva di aver trovato appoggio e in buon amico in un collega fake, i lavoratori sono tutti comprensibilmente scossi. Il trucco era quello di creare falsi personaggi sfruttando internet allo scopo di rubare mesi e mesi di lavoro delle persone coinvolte. Il cofondatore stesso – tale Ali Ayad – non è mai esistito. La storia è venuta alla luce quando i lavoratori, non venendo pagati per mesi, si sono insospettiti.

Per chi crede che solo un ingenuo possa cadere in una trappola simile, il documentario spiega bene in che modo i lavoratori venivano ingannati a regola d’arte: mail di persone che dicevano di non essere disponibili per una videocall perché impegnate a fare altro, chiamate Zoom con circa 40 dipendenti, false pubblicità legate a magazine e anche un indirizzo in cui avrebbe dovuto esserci l’ufficio che in realtà non è mai esistito.

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