Il titolismo sugli infermieri positivi dopo il vaccino ‘contagia’ anche la stampa straniera

Oggi l'articolo del Daily Mail US che parla di un uomo infettato a otto giorni dall'inoculazione. Ma sappiamo bene come funziona il siero Pfizer-BioNTech

30/12/2020 di Enzo Boldi

Oramai lo sanno anche i muri, ma forse occorre ripeterlo un’altra volta in coro: il vaccino contro il Covid prodotto da Pfizer-BioNTech ha bisogno due inoculazioni (con la seconda a distanza di 21 giorni dalla prima) e diventa efficace solamente sette giorni dopo la seconda iniezione. Lo si legge nelle caratteristiche e nel famoso bugiardino che accompagna il siero approvato sia dalla Fda americana che dall’Ema europea. Eppure continuiamo a trovare titoli che ammiccano all’allarmismo su storie come quella che arriva da San Diego, con l’infermiere positivo dopo vaccino. Al di là dei titolismi istertici, questa è una non notizia.

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La notizia è stata pubblicata sul Daily Mail US, con tanto di lancio Twitter che non spiega esattamente cosa sia accaduto. E infatti occorre entrare all’interno dell’articolo per capire come la scelta titolistica sia molto più ammiccante al terrorismo mediatico che concreta.

Infermiere positivo dopo vaccino: ci risiamo con i titoli allarmistico

Come si spiega (solo) all’interno dell’articolo, la notizia decantata con tanto ardore è – di fatti – una non notizia. Vengono riportati pareri dei medici e si sottolinea come l’infermiere positivo dopo vaccino, in realtà, sia risultato infettato otto giorni dopo la prima inoculazione. Insomma, non aveva ancora completato il percorso con la seconda iniezione – come da protocollo per il siero Pfizer-BioNTech – e quindi il vaccino non era attivo (come detto, si attiva circa sette giorni dopo la seconda inoculazione).

Il rischio di essere contagiati c’è anche dopo la prima dose

Verità che ormai sono di dominio pubblico e che sanno tutti quelli che si informano, anche leggendo i quotidiani. Eppure questa corsa al titolismo isterico per rendere notizie delle notizie che invece non lo sono, è un fenomeno diffuso a livello globale. E l’Italia (con alcune testate che hanno già ripreso questa storia, enfatizzando come i colleghi statunitensi) non riesce a staccarsi da questo tipo di narrazione.

 

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