La speranza che ci resta quando tutti i «Fili dell’odio» sono stati srotolati

Il documentario prodotto da Michele Santoro lascia messaggi ed eredità

03/12/2020 di Gianmichele Laino

C’è un’immagine potentissima che resta negli occhi di chi ha visto I fili dell’odioÈ quella di un gruppo di bambini che prende a bastonate il fantoccio di un ebreo. Una delle ultime sequenze che il documentario su come si stia espandendo sempre di più il fenomeno degli haters online ha messo in fila, grazie alla regia di Valerio Nicolosi e alla supervisione, sempre giornalisticamente preziosa, di Michele Santoro. Un documentario sull’odio in rete per la rete, con la distribuzione su YouTube e – attraverso embed – su TPI, Huffington Post e Micromega. Il primo, nel suo genere, in Italia.

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I fili dell’odio, cosa abbiamo imparato guardando il documentario

Il viaggio parte dal pc di casa, da quei social network dove è possibile incrociare di tutto: gli insulti, l’attacco personale, la violenza. A separarci dall’assalitore di turno c’è solo uno schermo. Ma le parole trafiggono anche le carni e si vanno a insediare nell’anima. La narrazione de I fili dell’odio spiega questo percorso in maniera chiara, grazie alla solita pluralità e ricchezza di voci.

Si muove dai racconti e dalle esperienze personali di tre donne, Michela Murgia, Laura Boldrini e la sindaca di Barcellona Ada Colau, che sono state il bersaglio principale – negli anni dell’esplosione della comunicazione online – di un vero e proprio accanimento da parte degli haters.

Si avvale della spiegazione tecnica del fenomeno fornita da esperti come Alex Orlowski, Matteo Flora e Silvia Brena, che hanno illustrato il funzionamento delle cosiddette «centrali dell’odio» che, in un altro mondo possibile, sarebbero potute essere anche delle «centrali d’amore», se solo il primo sentimento non fosse molto più remunerativo del secondo.

Si spinge fino in Polonia, vero picco della climax che ha caratterizzato lo sviluppo dell’opera. L’olocausto e l’antisemitismo, con una sorta di viaggio nel tempo parallelo tra passato e presente, diventano termini di paragone – grazie alle testimonianze di Milena Santerini, Martin Gak, Tomasz Kitlinski e Steven Forti – per quello che sta accadendo oggi. In questo momento, sui nostri profili social.

Alla fine, quando tutti i fili dell’odio sono stati srotolati, c’è un profondo senso di inquietudine che avrebbe dovuto – in qualunque altro Paese del mondo – dominare gli spazi di riflessione del servizio pubblico televisivo. Perché il fenomeno è totale e non può più, ormai, essere limitato esclusivamente alla nicchia di chi ne parla in rete. All’ultimo capo dei fili dell’odio c’è, nascosta, la speranza che un’informazione autorevole possa spezzarli.

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