Perché i giornali hanno fatto fatica ad affrontare la questione Giulia de Lellis-Israele

Il clamore sui social network si è quasi autogenerato. La stampa è arrivata in un secondo momento (e anche alcuni commentatori

28/07/2023 di Gianmichele Laino

Ci sono due circostanze particolari che hanno portato gran parte della stampa di settore a non trattare – o a trattare con ritardo – il caso di Giulia de Lellis e delle sue vacanze in Israele, con tanto di foto con l’IDF e con il presidente Herzog in aggiunta a una festa nelle Grotte di Salomone, sotto al quartiere islamico dove si sono compiute diverse retate contro il popolo palestinese. La prima, purtroppo, fa parte della nostra cultura: la sempre scarsa attenzione che il nostro Paese rivolge alla causa palestinese, influenzato dalle relazioni diplomatiche con Israele che, da qualche decennio a questa parte, si sono intensificate. La seconda, invece, è una questione strutturale: il dibattito su Giulia de Lellis è partito “dal basso”, innescato da un video di un creator e attivista che, prima dell’exploit del video sul viaggio in Israele dell’imprenditrice digitale, restava in una “bolla” circoscritta, nel giro dei contatti che ne condividevano idee e battaglie. Insomma, nulla che sia partito da stampa e opinionisti mainstream che, successivamente, si sono trovati quasi a inseguire.

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Giornali su Giulia de Lellis, perché hanno affrontato in questo modo la questione

Soltanto nella giornata di ieri, dopo che le stories della de Lellis e del suo compagno Beretta avevano ormai compiuto il loro corso, diversi siti online (tra questi, notiamo l’assenza di Repubblica, che di solito cavalca abbastanza spesso queste notizie, soprattutto per arricchire quella che una volta si chiamava “colonna di destra” del sito) hanno parlato del video di Karem Rohana, spesso senza citarlo o citandolo in maniera approssimativa. Senza preoccuparsi, come ha fatto invece Giornalettismo, di ascoltare direttamente il suo punto di vista sulla questione, al di là di quello espresso all’interno di un breve video pubblicato su Instagram.

In ogni caso, nei giornali su Giulia De Lellis, il leit motiv degli articoli è stato sempre e solo quello di evidenziare la diatriba social, senza approfondire le questioni politiche e storiche che hanno portato Karem Rohana a mettere in luce le azioni di Giulia de Lellis (dalle foto ai tag all’IDF, passando per il party esclusivo nella Grotta di Salomone) e del suo compagno Carlo Gussalli Beretta, vicepresidente di una delle più celebri (e antiche) fabbriche di armi del mondo.

Le opinioni sui social network da parte di chi ha grande influenza sulla community in casi come questo

Per quanto riguarda l’opinione mainstream, invece, è arrivata – anche se con ritardo rispetto all’esplosione della vicenda – anche quella di Selvaggia Lucarelli che, quando si tratta di scollamento tra influencer e realtà, è sempre un punto di riferimento per una community vastissima di persone. La giornalista ha dovuto rispondere a chi sosteneva che il suo silenzio sulla vicenda di Giulia de Lellis fosse determinato dal fatto di far parte della stessa agenzia di management dell’imprenditrice digitale, la Newco Management. Innanzitutto, Selvaggia Lucarelli ha detto di aver dedicato poco tempo ai social negli ultimi giorni, per motivi lavorativi. Poi, ha spiegato perché – secondo lei – il caso di Giulia de Lellis ha molto in comune con il messaggio di “buon lunedì” che Chiara Ferragni ha rivolto da una Sicilia che proprio in quelle ore stava fronteggiando il dramma degli incendi o con il pamphlet di Alain Elkann, pubblicato su Repubblica, che descriveva i ragazzi che viaggiavano insieme a lui in prima classe, sul treno diretto a Foggia.

«Social-vetrine e ricchezze – ha detto Selvaggia Lucarelli – sono un pessimo allenamento per la comprensione del mondo. Si perdono cose essenziali: senso della realtà e incapacità di comprendere il contesto perché ritieni di essere sempre tu il contesto […]. Giulia de Lellis dimostra come l’alibi della vacanza, della foto postata senza conoscere contesti geopolitici e niente del paese che si sta visitando non possa essere una scusante. Che lei abbia fatto un endorsement volontario all’apartheid è ovviamente una scemenza, ma la leggerezza con cui ha postato quelle foto racconta comunque quello scollamento dalla realtà di cui parlavo».

Si tratta, in ogni caso, di un punto già molto più approfondito rispetto alla marginalità della questione affrontata dalle principali testate (che hanno come obiettivo quello del click facile). Peccato che il delay con cui queste opinioni siano state esposte abbia inevitabilmente sollevato più di una perplessità negli utenti che hanno assistito a questo dibattito.

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