Le proteste dopo l’uccisione di George Floyd e Trump che minaccia la repressione armata (che già sta avvenendo)

29/05/2020 di Enzo Boldi

La storia insegna che quanto accaduto martedì scorso a Minneapolis non poteva che portare a reazioni esasperate da parte dei cittadini contro la Polizia e quel violento sopruso che ha portato alla morte di George Floyd. A New York, Denver, Oakland, in California, in Colorado (ma anche a Chicago e San Francisco) si sono moltiplicati i cortei e le manifestazioni di protesta e, in alcuni casi, si è sfociati nella guerriglia urbana. Come nel caso del commissariato prima occupato e poi dato alle fiamme.

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L’uccisione di George Floyd è andata a toccare un nervo scoperto che, per qualche anno, era rimasto silenzioso per via del calo di episodi di violenza da parte degli agenti di Polizia nei confronti dei cittadini afro-americani. L’uomo, morto dopo esser stato immobilizzato in terra con un agente che premeva il proprio ginocchio sul suo collo impedendogli di respirare, è il nuovo simbolo di queste rivolte che, ora, Donald Trump è pronto a reprimere anche con l’uso delle armi.

George Floyd, le proteste e la repressione con le armi

A Minneapolis è stato dichiarato lo stato di emergenza e il messaggio Twitter di Donald Trump non rasserenerà sicuramente gli animi: «Non posso rimanere a guardare quanto sta accadendo in una grande città americana, Minneapolis. Una totale mancanza di leadership. O il debole sindaco della Sinistra Radicale, Jacob Frey, mette sotto controllo la Città, oppure invierò la Guardia Nazionale e farò il giusto lavoro – scrive il numero uno della Casa Bianca -. Questi teppisti disonorano il ricordo di George Floyd e non permetterò che ciò accada. Ho appena parlato con il governatore Tim Walz e gli ho fatto che i militari sono con lui, fino in fondo. Cercheremo di tenere sotto controllo qualsiasi difficoltà, ma quando inizia il saccheggio inizia la sparatoria».

(foto di copertina: da profili social di Donald J. Trump)

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