Cosa è successo quando il governo propone garanti contro le fake news

In passato, c'è stato anche il precedente della commissione anti-fake news durante la pandemia di coronavirus. Ora, c'è il garante delle agenzie di stampa

03/08/2023 di Gianmichele Laino

Da Palazzo Chigi, spesso, si è avvertita l’esigenza di individuare delle figure di garanzia contro le fake news. L’introduzione di questo nuovo ruolo anche per le agenzie di stampa, infatti, non è un concetto originale, emerso in seguito a una intuizione che possa essere attribuita esclusivamente al comitato di esperti che ha supportato il sottosegretario Alberto Barachini nella formulazione di questa nuova riforma di settore. Si tratta, piuttosto, di un metodo che molto spesso viene seguito dal dipartimento per l’informazione e per l’editoria. Oggi si dibatte molto sul Garante delle agenzie di stampa, che dovrebbe essere una sorta di figura terza che va a costituire un requisito importante per poter essere inseriti in quell’elenco che permette alle agenzie stesse di avere accesso a commesse per la pubblica amministrazione. In passato, si era molto dibattuto sulla commissione anti-fake news che era stata costituita ai tempi della pandemia di coronavirus e del primo lockdown.

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Garante anti fake news, il metodo spesso seguito da Palazzo Chigi

L’individuazione di figure di garanzia terze è indipendente dal colore politico dei governi che si sono alternati a Palazzo Chigi (la commissione anti fake news sul Covid è stata istituita dal governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte, oggi il garante anti-fake delle agenzie di stampa è stato proposto da un governo di destra) e sembra essere figlio di un assetto culturale e sociale che contraddistingue da sempre il nostro Paese.

Anche quando c’è da risolvere una crisi politica, del resto, ci si affida sempre più spesso a “figure tecniche” e non c’è bisogno di citare illustri precedenti. Allo stesso modo, anche nelle gestioni aziendali, persino nel mondo dell’associazionismo, affidarsi a una figura terza che possa dare il famoso “sguardo esterno” a una questione, a un bilancio, a un evento è ritenuto segnale di grande imparzialità e – di conseguenza – di sicuro successo.

Il problema è che da queste scelte emergono, in prima battuta, dei contrasti che riguardano l’opportunità e la necessità di queste operazioni. Sulle figure di garanzia di ambito editoriale – rappresentate dalla commissione anti fake news prima e dal Garante delle agenzie di stampa dopo – si ricorda sempre che il primo baluardo contro la disinformazione deve essere il giornalista stesso, la testata che pubblica le sue notizie, l’esperto di comunicazione che cura una campagna per un ente o per una azienda. Del resto, si tratta di concetti che si trovano all’interno delle norme deontologiche che disciplinano la professione giornalistica.

In seconda battuta, non è detto che la figura di garanzia – magari immaginata con determinate caratteristiche nei principi teorici che accompagnano la stesura di una legge o di un decreto – possa risultare, all’atto pratico, ciò che il legislatore o l’estensore del decreto immaginava. Una situazione molto simile si è registrata con il lento tramonto della commissione anti-fake news sul Covid-19. L’assise nominata dall’allora sottosegretario Andrea Martella aveva tre compiti pratici: un facile accesso alla comunicazione istituzionale e verificata, la creazione di strumenti innovativi per dare risposte ai cittadini (un bot sui servizi di messaggistica, ad esempio, ma anche un sistema di gamification che potesse far interagire i cittadini con le informazioni sul coronavirus), l’analisi quantitativa della disinformazione. Non c’è stata corrispondenza tra le intenzioni e ciò che è stato realizzato.

Dopo la fine del lockdown, l’attività della commissione si è allentata, ha avuto incontri sempre più sporadici, gli obiettivi sono diventati sempre più complessi da raggiungere. Perché c’è sempre questo rischio quando si nomina la “figura di garanzia esterna”: che il suo ruolo, indipendentemente dal fatto di essere un attore unico o un organismo collegiale, sia un po’ una sorta di segnaposto, non propriamente decisivo.

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