«Nonostante la task force anti-fake news del governo, l’informazione sul web non è cambiata in meglio»

David Puente, che ha dato le dimissioni dal gruppo di lavoro, ha spiegato cosa non è andato

06/02/2021 di Gianmichele Laino

Il 31 gennaio scorso, David Puente – fact checker e giornalista di Open – ha annunciato le sue dimissioni dalla task force anti fake news che, nel mese di aprile 2020, il governo aveva messo in piedi per dare una risposta decisiva alla lotta alle bufale che, in piena pandemia, si stavano diffondendo quasi allo stesso modo del coronavirus. La task force – istituita con decreto del sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella – aveva fissato tre obiettivi principali della sua azione: un facile accesso alla comunicazione istituzionale e verificata, la creazione di strumenti innovativi per dare risposte ai cittadini (un bot sui servizi di messaggistica, ad esempio, ma anche un sistema di gamification che potesse far interagire i cittadini con le informazioni sul coronavirus), l’analisi quantitativa della disinformazione. Questo progetto non ha avuto un suo atterraggio pratico, dunque qualcosa non è andata per il verso giusto.

David Puente ha provato a spiegarci le ragioni della sua scelta e ha fatto un’analisi del lavoro svolto in questo periodo, da quando cioè – a giugno 2020 – il gruppo di lavoro della task force (composto, oltre che da Puente, da Riccardo Luna, Francesco Piccinini, Ruben Razzante, Luisa Verdoliva, Giovanni Zagni, Fabiana Zollo e Roberta Villa) ha consegnato il suo documento programmatico.

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Task force anti fake news, le dimissioni di David Puente

«La task force doveva essere rivolta a quanto accadeva anche all’esterno del web – ci ha detto David Puente -. Il ruolo del web, ovviamente, con la pandemia è diventato dominante. Ma se la domanda è se internet è cambiato in meglio con questa task force, direi proprio di no. La disinformazione continua a essere molto forte, perché le persone sono stressate e arrabbiate, sottoposte alla pressione derivata da questa situazione difficile che stiamo vivendo. Anche quelli che non credevano alle teorie del complotto, adesso sono portati alla disperazione e cercano risposte in canali che danno loro alcune indicazioni complottiste».

Questo aspetto era ben presente, sin dagli inizi del lockdown e la task force era sicuramente consapevole di quello che avrebbe dovuto affrontare: «Ci eravamo prefissati delle attività – dice a Giornalettismo David Puente -. La task force non poteva intervenire sulle singole situazioni, sulle singole notizie insomma. Era, piuttosto, un ruolo di consulenza per offrire linee guida su come affrontare la disinformazione in maniera preventiva: un vero e proprio vaccino alla disinformazione. Come comunicare determinate cose, come intervenire laddove c’erano buchi formativi, delle lacune, aiutare a costruire un sistema coerente per le FAQ del ministero, per quelle della protezione civile, in modo da uniformarle e non creare confusione: erano questi i nostri obiettivi, senza dare etichette di “bufalari” o “creduloni”. Abbiamo proposto varie attività: la più bella per me resta quella della gamification, il fatto di stimolare le persone sulle competenze attraverso il gioco, avendo delle risposte attraverso gli errori fatti. Internet e il cellulare sono spesso usati per svago, e allora perché non coniugare questo svago con l’attività formativa?».

Premesse sicuramente significative. Ma, dal mese di giugno 2020, quando il piano di lavoro è stato presentato, non abbiamo avuto modo di vedere nulla di tutto questo né online, né offline.

«Per sapere perché le proposte del gruppo di monitoraggio non sono state accolte bisognerebbe chiederlo ad Andrea Martella. Il sottosegretario, in verità, aveva sempre l’intenzione di fare una buona operazione. Noi siamo nati in un momento che era molto delicato, ma una volta finito il lockdown il tutto si è un po’ allentato. Inclusa l’attenzione verso l’informazione. Se si fosse rispetto il piano, ad esempio, sui vaccini saremmo stati più preparati. Oggi rispondo ancora a notizie false relative al maggio scorso, perché la gente non ha avuto soddisfazione rispetto alla disinformazione generale che è circolata».

L’interruttore che ha portato David Puente a chiudere l’esperienza – almeno dall’interno – è stato senz’altro l’inazione: «Il gruppo non lavora da parecchio tempo: a giugno abbiamo consegnato il nostro documento di lavoro. Da allora non ci sentiamo più come gruppo di lavoro. Ci sentiamo singolarmente tra noi perché le persone che si sono incontrate all’interno della task force hanno continuato a darsi una mano. Ma le riunioni non si fanno più da giugno. La durata del gruppo era stata fissata nel tempo minimo un anno, l’orizzonte era l’aprile del 2021. Io sono andato via perché non si faceva più niente. Giovanni Zagni (direttore di Pagella Politica, ndr) se n’era andato via prima (per uno scontro di natura politica che era partito da Giorgia Meloni) e ora la task force è rimasta senza fact checker. Io resterò comunque a disposizione, ma dall’esterno: non mi sembrava più il caso di proseguire. La cosa che mi ha colpito è stata che tanta gente non aveva capito cosa stavamo facendo: alcuni pensavano addirittura che io avessi smesso di lottare contro le fake news. Bisognava dunque dare un segnale».

Quale destino, ora, per la task force?

La task force (che non prevedeva e non prevede compensi), ora, continuerà ad andare avanti, probabilmente fino alla sua scadenza naturale. Occorrerà valutare anche gli ulteriori sviluppi politici di questi giorni, in piena transizione dal governo Conte 2 al possibile esecutivo guidato da Mario Draghi.

«Io credo che ai livelli alti della politica – chiude David Puente -, la corretta informazione non interessi a nessuno. Noi abbiamo chiesto una trasparenza a livello dei dati, per esempio: se il governo avesse fornito da subito dati in chiaro, mettendoli a disposizione di giornalisti e scienziati, le persone non avrebbero potuto dire contestare la mancanza di trasparenza. Ovviamente, il piano operativo che noi abbiamo fornito è ancora valido: qualsiasi governo che si formerà potrà utilizzarlo. Ci sono le basi per fare un’attività di informazione neutra e secca per arginare buona parte di quello che sta accadendo a livello di disinformazione. Se c’è volontà da parte della politica, noi ci siamo. Io e i miei colleghi continueremo a fare il nostro lavoro e ci piacerebbe che anche altri lo facessero senza andar dietro al primo lancio di agenzia o al primo post del politico sulla base del principio di autorità. Altrimenti, la disinformazione su quello che è accaduto nel 2020 potremmo portarcela avanti per anni».

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