Anche quello che condividete con gli “Amici stretti” su Instagram finisce su Telegram

Quello che le donne pubblicano per gli "Amici stretti" su Instagram finisce su Telegram e ne abbiamo parlato con l'attivista Valeria Fonte

27/09/2021 di Ilaria Roncone

Il principio è lo stesso di quando si condividere materiale intimo nelle chat di Whatsapp e questo stesso materiale viene pubblicato nei gruppi Telegram in cui si va revenge porn nei confronti delle ex. Stavolta, però, a finire su Telegram e su specifici gruppi Instagram è il materiale condiviso con gli “Amici stretti” di Instagram. Si tratta di quelle stories che vengono visualizzate solamente dalle persone che l’utente ha selezionato perché le vedesse. Persone di cui ci si fida – proprio come quando si condivide materiale durante il sexting – e che tradiscono la fiducia facendo screenshot e registrazioni schermo che poi condividono in rete. Il fenomeno è stato denunciato da Valeria Fonte – attivista che fa divulgazione sulla rape culture su Instagram – che abbiamo contattato per analizzare l’ennesimo fenomeno di questo tipo, quello delle foto Amici stretti di Instagram, che è fiorito in rete.

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Cosa fare per segnalare profili IG e gruppi Telegram di materiale non consensuale

Il discorso è molto delicato e non è facile capire come procedere per fare bene. Quello che succede lo spiega bene Valeria Fonte raccontandoci la sua esperienza: «Mi sono arrivate in DM segnalazione da parte di persone che mi seguono, che quando vedono che si aprono nuovi gruppi di questo tipo me lo segnalano in modo che io possa denunciare alla Polizia Postale. Queste stesse persone, che hanno segnalato questi gruppi e creato profili Instagram per invitare gli altri a farlo, involontariamente gli fanno pubblicità». Il risultato, andando a controllare, è che questo canale Telegram ha fatto il botto: in meno di 24 ore le persone che ne fanno parte dono passate da poco più di mille a quasi 50 mila.

Controllando, emerge anche come siano nati altri gruppi collaterali – che rimandano sempre allo stesso profilo – e addirittura un canale di riserva. «Finora ne ho parlato solo io però c’è stato un profilo Instagram in particolare, che fa divulgazione in maniera sbagliata (ma che ha più di 280 mila follower n.d.R) e che ha pubblicato il nome del gruppo Instagram e del canale Telegram». Il problema è quello: tra chi cerca quei gruppi solo per curiosità e chi, invece, vuole entrarci per la condivisione di materiale non consensuale, spingere a denunciare divulgando il nome diventa controproducente poiché il materiale condiviso in maniera non consensuale diventa accessibile ad ancor più persone.

C’è una sola cosa che possiamo fare: «Segnalare alla Polizia Postale questi gruppi». Anche perché Telegram non rimuove nulla – tranne quello che Putin vuole sia rimosso – e Instagram non modera in maniera corretta: «La pagine Instagram ieri sera aveva 5 mila follower, poi il profilo è stato chiuso. La ragione è che è diventato appetibile poiché il nome è stato reso noto e, probabilmente, anche per le segnalazioni di massa. Abbiamo segnalato un paio di immagini che erano palesemente nudo, ma nulla».

amici stretti Instagram

Il nuovo fenomeno degli Amici stretti Instagram

«Le modalità sono sempre quelle: si crea un gruppo di materiale condiviso in maniera non consensuale, viene reso noto e scatta la ricerca per vedere chi c’è dentro, se c’è qualcuno che si conosce – spiega Fonte – e il fenomeno degli Amici stretti di Instagram è nuovo». Il punto è sempre quello, come abbiamo già anticipato: qualcuno nel quale si ripone fiducia la tradisce e condivide fotografie e video con il resto della rete allo scopo di condannare il comportamento delle donne che decidono come gestire il proprio corpo, le proprie foto e i propri video.

«La dinamica è la solita di sempre ma il problema è beccarli. Perché se già nella lista degli Amici stretti su Instagram ci sono tre o quattro persone è un casino. Basta che lo condivida uno e non si ha alcun modo di capire chi sia stato», dice Fonte. Intanto sul canale principale di Telegram e su tutti quelli nati in maniera collaterale da ieri, l’admin sta spammando un messaggio: «Se arriviamo a tot iscritti, divulgo numeri di cellulari e nomi. Questo si chiama doxing (diffondere pubblicamente informazioni personali con cattive intenzioni, informazioni alle quali si ha probabilmente facile accesso essendo tra i contatti stretti su Instagram n.d.R) ed è un reato».

«Questi fenomeni nascono per riportare all’ordine le donne»

Viene da chiedere, a questo punto, se a un’attivista che agisce in questi ambienti da parecchio tempo vengano segnalati fenomeni simili che vedono protagonisti gli uomini. «No, mai. Non esistono gruppi in cui 50 mila donne denigrano maschi. Nessuna delle persone riconosciute alla nascita con identità di genere femminile ha la necessità di riportare all’ordine il maschio. Le parole nelle storie di chi ha creato questi gruppi (gli account privati di Instagram che giravano sui gruppi Telegram e che poi sono stati rimossi n.d.R.) sono quelle: “riportiamo all’ordine queste tr*ie”. Pubblicare le proprie foto significa uscire da un ordine imposto, quello delle brave ragazze. Il corpo viene pubblicato per uno scopo che non sia piacere al maschio».

Corpi sui quali questi uomini non hanno nessun tipo di controllo e la cosa li fa arrabbiare: «Questi fenomeni dimostrano che gli uomini hanno paura. Se non temi quanto sta accadendo non pensi e dici di dover riportare le donne all’ordine. Paradossalmente, per quanto mettano in difficoltà molte ragazze, stanno dimostrando di avere non poca paura. Uno dei commenti più beceri che ho letto è “dovremmo chiamare i talebani e farli venire qui”». Quel fare gruppo che li fa sentire sicuri è perfettamente calato nel contesto della rape culture, che si esplicita – oggi – attraverso gli strumenti che ci sono a disposizione: i social. «Instagram e Telegram sono solo mezzi, se venissero boicottati ti assicuro che nascerebbe un altro modo per fare la stessa cosa». Prima erano i «gruppi del calcetto», ora sono questi: «Secondo uno studio di Harvard tutti gli uomini tra i 15 e i 40 anni hanno fatto almeno una volta parte di un gruppo del genere, nel caso delle donne solo il 5% può dire lo stesso», conclude l’attivista.

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