Perché le chiamiamo «foto hot» se sono il materiale dell’inchiesta su Genovese?
Il lessico opportuno da usare in questi casi
08/12/2020 di Redazione
Nella giornata di oggi, facendo un po’ di rassegna stampa, emerge una nuova news legata al caso di Alberto Genovese, ovvero il reperimento di diverso materiale multimediale – ritrovato all’interno della memoria del cellulare dell’imprenditore in carcere con l’accusa di violenza sessuale – rappresentato da immagini di nudo femminile. Si tratta di materiale che gli inquirenti andranno a esaminare, dunque, i componenti della Squadra mobile di Milano, guidata dal dirigente Marco Calì. Materiale che, in qualche modo, potrebbe entrare nel quadro probatorio.
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Foto chat Genovese, un problema lessicale
In molti casi, con i vari organi di stampa che ne hanno dato la notizia, si è parlato di «foto hot» o di «foto e video hard», descrivendoli con una sorta di didascalia che si può trovare in qualsiasi portale di pornografia. Tuttavia, vale appena la pena ricordare che le due fattispecie sono molto diverse tra loro. La diffusione di immagini di nudo (non è ancora noto dalle indagini se si tratti di nudo consensuale o meno) in chat nell’ambito di un’inchiesta su reati di natura sessuale non può essere paragonata, nemmeno nella sua descrizione, a materiale che, invece, è realizzato per essere “hot”.
Lo ha fatto notare, attraverso un tweet, Giulia Blasi, scrittrice e giornalista italiana che da anni si occupa di tematiche relative alla condizione femminile. Ha messo in evidenza alcuni titoli e alcune url utilizzate da quotidiani online italiani per raccontare gli ultimi sviluppi delle indagini sul caso Genovese. Ovviamente, si tratta di un suggerimento che è opportuno seguire. Spesso, la semplificazione dei concetti propria di questo mondo giornalistico, porta a utilizzare alcune espressioni senza troppe riflessioni in proposito.
È capitato e capita spesso, ma non per questo, quando viene evidenziata una buona prassi, quantomeno a livello lessicale, si deve far finta di niente. Dunque, in sintesi, utilizzare l’attributo di “foto hot” per il materiale ritrovato all’interno dei device di Genovese è sbagliato.