Matteo Flora ci spiega perché stiamo sbagliando nel parlare di revenge porn

Le parole del presidente di Permesso Negato

01/12/2020 di Gianmichele Laino

Abbiamo parlato, nei giorni scorsi, di alcuni gruppi Telegram in cui si chiedeva del materiale video relativo alla maestra di Torino che, nel 2018, era stata vittima di una grave vicenda di revenge porn. Per questo motivo, la nostra testata è stata molto criticata da Matteo Flora, professore in Corporate Reputation & Business Storytelling ed in Data Driven Strategies, fondatore di The Fool (una società che si occupa di customer insight) e presidente di PermessoNegato, un’associazione che si occupa di supporto tecnologico alle vittime di pornografia-non consensuale. Gli abbiamo chiesto perché, secondo lui, il nostro modo di affrontare la vicenda non è stato corretto.

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Matteo Flora e la riflessione sul revenge porn affrontato dal giornalismo italiano

«Non lo dico io – ci spiega Matteo Flora -. Ci sono delle linee guida a livello internazionale che ci fanno capire come dovrebbe essere trattato il revenge porn nel racconto pubblico quotidiano. Il revenge porn rappresenta una parte della cosiddetta NCP (Pornografia non consensuale). Quando si affronta questo argomento occorre sempre tenere presente che si sta parlando di una vittima e che quest’ultima deve essere tutelata in qualsiasi modo. Si pensi, ad esempio, a quel giornalismo che si occupa di minori e che, pertanto, deve tutelarli. Non ci si può permettere che, un giorno, il minore o, in questo caso, la vittima di revenge porn debbano affrontare delle conseguenze in futuro rispetto a una vicenda personale che li ha toccati da vicino e che è stata raccontata sui giornali. Un altro aspetto che va preso in considerazione è l’emulazione: quando si parla di revenge porn, il rischio che la cassa di risonanza rappresentata dai giornali amplifichi la ricerca di materiali è molto alto. Quando si studia il fenomeno di revenge porn, in Italia si deve evidenziare il ruolo che ha avuto la stampa: le curve di diffusione dei materiali di questo tipo e delle iscrizioni alle comunità che li condividono si sovrappongono alla diffusione di alcuni fatti di cronaca sui quotidiani. È accaduto in passato sia con una nota testata che si occupa di tecnologia, sia con un famoso programma televisivo di inchiesta».

Nell’articolo in questione, non veniva fatto il nome della vittima: si indicava il nome del gruppo Telegram all’interno del quale gli utenti cercavano (e – con molta probabilità – hanno ottenuto) del materiale legato alla stessa. Chiediamo a Matteo Flora quale possa essere la differenza tra la denuncia del nome di questa chat e la denuncia, fatte le debite proporzioni, del nome di una cosca di ‘Ndrangheta: anche in questo caso la cronaca favorisce l’emulazione e l’affiliazione a questa stessa cosca?

«Le due casistiche non possono essere paragonate – ci spiega Flora -, dal momento che, ad esempio, l’affiliazione a una cosca di ‘Ndrangheta comporta un elevatissimo fattore di rischio per la persona. Dunque, il fatto che la stampa diffonda il nome di una cosca non coincide automaticamente con l’affiliazione alla stessa da parte delle persone che ascoltano questa notizia. Un altro esempio che mi fanno spesso è quello delle piazze di spaccio. Se io denuncio la presenza di una piazza di spaccio, aiuto le forze dell’ordine nella loro identificazione e i cittadini nel tenersene lontani? Ma anche in quel caso il fenomeno è diverso perché il caricamento dei contenuti presenta un fattore d rischio per la persona prossima allo zero, al contrario dell’acquisto di stupefacenti: ripeto, ci sono due componenti nell’affrontare il revenge porn che non vengono prese in considerazione dalla stampa. La prima è la tutela della vittima (cosa che si fa anche con i minori, secondo quanto scritto nella Carta di Treviso), la seconda è l’effetto emulazione».

Matteo Flora e il ruolo delle forze dell’ordine nei casi di revenge porn

Eppure, per quanto riguarda altri fatti di cronaca relativi ad altre sfere dell’informazione, la denuncia attraverso la stampa possono essere una sorta di grimaldello per sollecitare inchieste da parte delle forze dell’ordine e della magistratura. Perché non si può pensare che sia così anche nel caso di revenge porn?

«Le forze dell’ordine – afferma Flora – non possono essere aiutate in alcun modo da questa operazione: banalmente se io denuncio il nome di un gruppo in cui viene diffuso del materiale di revenge porn, è possibile che quel gruppo successivamente cambi destinazione. E a quel punto non si può più intervenire».

Il nostro intento era quello di denunciare, ovviamente. E abbiamo notato, da dati in nostro possesso, che all’inizio – quando il nostro articolo è stato pubblicato – la sua diffusione non era stata così ampia. Quest’ultima, invece, è aumentata a partire dalla serata successiva, quando lo stesso Matteo Flora ci ha scritto pubblicamente su Twitter segnalando il nostro articolo. Il presidente di Permesso Negato ha ricostruito così la catena di diffusione.

«Nel caso in questione – ci dice -, l’aumento dell’interesse che abbiamo riscontrato intorno al vostro articolo è avvenuto in coincidenza con la diffusione di uno screenshot (non in gruppi di revenge porn, ma attraverso altri canali di distribuzione) che veniva trasmesso di chat in chat con la stessa, identica domanda che è suonata come una sorta di grido di battaglia: “dov’è questo gruppo?”. Il dibattito in rete è aumentato nella notte successiva al vostro articolo, tanto che siamo stati contattati da alcune vittime di revenge porn (non da quella direttamente coinvolta in questo caso, ndr) che ci hanno segnalato quello che stava accadendo e che ci hanno chiesto la possibilità di essere tutelate. Molte volte queste persone ci scrivono anche di notte, come potete notare, dal momento che le situazioni che vanno ad affrontare sono gravi e urgenti».

Il ruolo di Telegram

Ci chiediamo, però, se non abbia più senso esprimere una critica più netta nei confronti delle piattaforme – come Telegram – che contribuiscono alla diffusione di questi contenuti: il loro funzionamento permette di arrivare in questi gruppi anche a partire da una chiave di ricerca. Non serve sempre il trampolino di lancio di un articolo di giornale: si pensi, ad esempio, a quanto accaduto a Guendalina Tavassi, show girl e concorrente di diversi talk show, vittima di revenge porn.

«Non bisogna mai confondere quello che fa un personaggio pubblico, si pensi a Guendalina Tavassi, rispetto a quello che fa una vittima di revenge porn che non sia un personaggio pubblico – conclude Flora -. Nel caso della sua denuncia attraverso i propri canali social, è stata lei a dire che, su alcuni gruppi Telegram, circolavano suoi video di revenge porn. Uno di questi ha acquisito in poche ore oltre 900mila utenti. Da lì sono partite le ricerche di questo materiale: ma il manuale della comunicazione in questi casi suggerisce che un personaggio pubblico non possa comportarsi diversamente, se intende denunciare il fenomeno. Tuttavia, Guendalina Tavassi andrà mille altre volte in televisione e avrà mille altre occasioni per far parlare di sé. Nella maggior parte dei casi, invece, la vittima di revenge porn che non sia un personaggio pubblico non avrà altre occasioni per ottenere una nuova ribalta pubblica in chiave positiva: quante volte – per restare sul caso della maestra di Torino – una maestra ha la possibilità di finire in prima pagina su un quotidiano nazionale?».

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