Caso Fiber, Conte si difende: «Nessun conflitto di interessi»

Quando il Financial Times aveva sganciato la bomba dio un possibile conflitto di interessi da attribuire a Giuseppe Conte, la Lega ha trainato il centrodestra verso una opposizione ferrata: continue le richieste di chiarimenti sul ruolo svolto dal premier nel caso “Fiber”. Il presidente del Consiglio ieri sera ha chiarito alla Camera che non c’è alcun conflitto di interessi, spiegando con calma il suo ruolo nella vicenda.

Caso Fiber, Conte si difende: «Nessun conflitto di interessi»

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Tutto nasce nel maggio 2018 quando Fiber 4.0, fondo riconducibile a Raffaele Mincione e alle finanze del Vaticano,  chiede a Giuseppe Conte, allora ancora solo avvocato e non premier, una consulenza: il fondo è infatti impegnato in una battaglia tra gli azionisti per il controllo di Retelit, che detiene la proprietà di 8mila chilometri di fibra ottica nel nostro paese. In quella situazione, Conte ha spiegato di aver redatto «un parere giuridico pro-veritate circa l’applicabilità della disciplina della c.d. Golden Power e dei conseguenti obblighi di notifica». Proprio su quel “Golden Power” era scattato l’inghippo: in uno dei primi Consigli dei ministri infatti il governo attivò il potere di imporre ad alcune aziende certe restrizioni di attività strategiche. «Per maggiore chiarezza e per diradare ogni residuo dubbio» Conte spiega che il parere stesso «non ha avuto a oggetto la decisione circa l’opportunità di esercitare o meno la Golden Power, competenza questa del Governo» bensì «l’applicabilità o meno della relativa disciplina» e quindi, la necessità di notificare o meno l’operazione al Governo. «Ciò nondimeno, al fine di evitare ogni possibile forma di conflitto di interessi – ha continuato il presidente del Consiglio – anche solo indiretto, una volta investito della carica di Presidente del Consiglio mi sono astenuto da qualsivoglia attività o da qualsivoglia forma di coinvolgimento, formale e sostanziale, riguardanti la decisione circa l’esercizio della Golden Power nell’operazione Retelit». Nel famoso Consiglio dei Ministri infatti, Giuseppe Conte si astenne: «non presi parte alla seduta del Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018, nel corso della quale fu esaminata la questione». Poi la frecciatina: «Preciso che l’intera seduta del Consiglio dei Ministri fu presieduta dall’allora Vice Presidente e Ministro dell’Interno, Matteo Salvini». 

A sostegno della sua difesa, ci sono gli accertamenti svolti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che «sollecitata da altri a valutare l’esistenza di un potenziale conflitto di interessi a mio carico» ha chiesto chiarimenti ed esaminato documenti, concludendo «”di non dover avviare alcun procedimento ai sensi della legge 20 luglio 2004, n. 215, non ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della legge” in materia di conflitto di interessi».

La bagarre in Aula

Conclusosi il discorso del Presidente del Consiglio però, in Aula è scoppiato un tafferruglio. Ad accendere la miccia è stata la deputata M5s Anna Macina, che ha preso di mira Matteo Salvini sottolineando come quando «venne convocato in Antimafia sul caso Arata e non si presentò, diversamente da come fa oggi il presidente Conte». Immediata quindi la reazione dai banchi del Carroccio, tra fischi e invocazione “Elezioni Elezioni!“. Un deputato poi le avrebbe urlato «sei una poltronaia», sorretto da un coro che diceva «Umbria! Umbria!» scatenando la reazione dei banchi pentastellati che rispondevano con «Russia! Russia!». Il tutto interrotto dai tentativi del presidente Roberto Fico di riportare la calma.

( Credits immagine di copertina: ANSA/GIUSEPPE LAMI)

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